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Perché una tassazione più severa non aiuta a combattere la ludopatia

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Chi troppo vuole, nulla stringe. Negli ultimi mesi il governo è intervenuto ripetutamente sul settore dei giochi, prima vietandone ogni forma di pubblicità, e poi con diversi incrementi consecutivi della tassazione. L’intenzione dichiarata è quella di contrastare la ludopatia. Quella nascosta, ma non meno importante, è cavare nuovo gettito per finanziare le numerose voci di spesa contenute nella legge di bilancio. Purtroppo, l’esecutivo rischia di raccogliere risultati scarsi sotto tale profilo, colpendo però l’industria e spingendo i giocatori – specialmente quelli affetti da forme di dipendenza – verso il gioco illegale.

Già alcuni anni fa, l’Italia si distingueva nel panorama europeo per la particolare severità della tassazione. Il gettito del settore è corrispondentemente aumentato, anche se contemporaneamente le preferenze dei consumatori si sono spostati verso i giochi assoggettati a un’imposizione relativamente meno feroce. Adesso, si è probabilmente superato il livello di guardia. Una tassazione eccessiva, infatti, comporta una riduzione della percentuale delle giocate restituite in forma di vincita, cioè la probabilità di vincere e/o l’entità dei premi. I giocatori con maggiore elasticità al prezzo – tipicamente, quelli occasionali – probabilmente giocheranno di meno, senza trarne particolare beneficio. Ma i giocatori con una domanda più rigida – ossia quelli più esposti alle patologie – si troveranno o ad aumentare ulteriormente la spesa per il gioco, oppure a cercare rifugio con gli operatori del sommerso, o entrambe le cose.

Anche il divieto di pubblicità, adesso pienamente in vigore dopo un periodo transitorio di alcuni mesi, appare una manovra ingenua che sortirà effetti opposti a quelli desiderati. Internet è sempre più la frontiera del gioco: una molteplicità di siti, legali e no, offrono ai giocatori la possibilità di tentare la fortuna. L’advertising svolge una cruciale funzione informativa: aiuta i consumatori a orientarsi in questa giungla, riconoscendo le piattaforme autorizzate e distinguendole da quelle che operano al di fuori della legge. Inoltre, tradizionalmente questo settore, attraverso le sue sponsorizzazioni, contribuisce al finanziamento di numerosi eventi e attività, tra cui quelle sportive. Il “silenzio stampa” non farà altro che alimentare la confusione online, riducendo le risorse a disposizione di altri settori.

C’è, in questa strategia, una doppia contraddizione. In primo luogo, il governo dice di voler combattere la dipendenza dal gioco, ma poi assume provvedimenti che avranno il solo effetto di taglieggiare ancora di più i giocatori patologici, se non addirittura di spingerli tra le braccia della delinquenza. Secondariamente, le conseguenze di questi interventi cadono in gran parte sulle spalle dell’industria del gioco legale, additata come esempio di immoralità conclamata ma al tempo stesso trattata come un bancomat per tappare almeno alcune delle falle che si stanno aprendo nel bilancio pubblico. Purtroppo, la tassazione esagerata potrà forse soddisfare le aspettative del governo nel breve termine, ma nel lungo termine non farà altro che rendere insostenibili le condizioni sotto cui operano i concessionari.

Colpire gli operatori legali, allontanare dal gioco coloro che hanno un rapporto “sano” con esso e aumentare il disagio delle persone affette da ludopatia non era forse la meta che il governo intendeva raggiungere, ma è l’inevitabile direzione verso cui – con le sue azioni – sta spingendo il Paese. È superfluo ricordare in quale modo il compianto Carlo Maria Cipolla chiamasse coloro che nuocciono al prossimo senza trarne alcun vantaggio per sé.

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