“Non è che la mattina mi sveglio e decido di vendere l’oro. Siamo legati a un trattato internazionale, a delle regole ferree. Altra cosa sarebbe utilizzare le riserve auree per creare una linea di credito per bilanciare, ad esempio, l’aumento dello spread. Ma per farlo occorre un piano serio e credibile da parte del governo”. Per l’economista Mario Deaglio, professore di Economia Internazionale all’Università di Torino, la proposta di utilizzare le 2.451,8 tonnellate di riserve auree – (siamo il terzo Paese al mondo per oro conservato nelle casseforti della banca centrale dopo Stati Uniti e Germania) per sterilizzare gli aumenti dell’Iva previsti dalle clausole di salvaguardia per il 2020, pari a 23 miliardi – è “miope, di corto respiro”.
Professore, che idea si è fatta di questa storia di vendere l’oro della Banca d’Italia?
Siamo legati a un trattato internazionale che limita fortemente la quantità di oro che possa essere venduto, circa 1 miliardo di euro. In più va detto che per legge l’oro è di proprietà di Bankitalia, figura nel suo bilancio e, quindi, non è che possiamo dall’oggi al domani prenderlo e venderlo a nostro piacimento. Se Bankitalia lo rivalutasse potrebbe pagare un forte dividendo al governo. Ma ci abbiamo provato anche insieme ai tedeschi, Eurostat ha detto che questo non si può fare.
E quindi?
Il trattato internazionale scade intorno a fine anno, potremmo fare una rinegoziazione ma, di certo, non lo potremmo ottenere per fare ancora deficit. Cioè non possiamo vendere l’oro perché stiamo spendendo troppo. Qualcuno nel mondo ci guarderebbe male e non comprerebbe più i nostri titoli sovrani.
Uno scenario da Argentina, come ha detto l’ex ministro Pier Carlo Padoan. Vendere i gioielli di famiglia per salvarci dall’alto debito pubblico…
Mah l’Argentina non aveva neanche l’oro! Diciamo che il messaggio, per chi vuole investire nel nostro Paese, non sarebbe certamente incoraggiante. Non si fa così al mondo d’oggi. Tra l’altro come si fa a vendere l’oro? A chi lo vendiamo? Ci sono delle regole abbastanza precise. C’è un mercato dell’oro a Londra, adesso anche la Cina si sta attrezzando, però le quantità che si possono commercializzare sono molto piccole.
Ma allora è solo una boutade questa proposta?
Penso che ci possa essere un uso positivo delle riserve auree, come è già stato fatto una volta nella nostra storia, ovvero quello di darlo in garanzia.
In che modo?
Penso ad una sorta di fido bancario, con capitale costituito dalla nostra riserva aurea. Lo abbiamo fatto con la Germania quando ancora non c’era la Banca centrale europea. Nel 1975, nel pieno della crisi petrolifera, lo Stato italiano versava in condizioni peggiori di oggi, era vicino alla bancarotta e la Germania, seppur malvolentieri, su nostra richiesta ci concesse un prestito, ma pretese come garanzia il nostro oro e – visto che non si fidava di noi – che fosse trasferito all’estero, tanto che ancora oggi è depositato presso la Banca dei Regolamenti internazionali di Basilea, in Svizzera.
Quindi una specie di garanzia, un po’ come succedeva una volta con il Banco dei pegni?
Esattamente, come una garanzia ad esempio con il Fondo monetario internazionale. Non lo vendiamo, ma lo mettiamo sul mercato facendone un uso produttivo. Questo però non lo si dovrebbe fare per un prestito, ma per una linea di credito.
Cosa vuol dire?
Che potrei attingere – per usare un termine che piace molto ad uno dei nostri vicepremier (Matteo Salvini, ndr) – da questa linea di credito, giorno dopo giorno, sul mercato dei cambi per contrastare un eventuale aumento dello spread. Tanti investitori stanno vendendo i nostri titoli di Stato perché non li vogliono più – adesso a breve è atteso un nuovo giudizio delle agenzie di rating che se va male vuol dire che molti fondi non potranno più avere in portafoglio i nostri titoli sovrani – e quindi avremo una tendenziale vendita o un non rinnovo alla scadenza. Con questa linea di credito potremmo comprare noi, con i nostri soldi prestati dal Fmi, i titoli di Stato e allora questo sì sarebbe un uso appropriato delle riserve auree.
Sembra un po’ una specie di mini bazooka italiano, rispetto al quantitative easing di Mario Draghi…
Avremmo la possibilità di avere un mini bazooka tutto nostro che ci permetterebbe di respirare un po’. Ma la domanda semmai è un’altra…
Quale?
Respirare per che cosa? Anche il Fmi ci potrebbe concedere questa possibilità non per spendere di più ma a fronte di un programma serio di riforme a lungo respiro. Vuol dire fare una politica che gli altri considerino credibile, dimostrando a chi ci presta il denaro che vengono finanziati piani per lo sviluppo e che, nel giro di pochi anni, si è così in grado di restituire i soldi prestati.
Quindi non per sterilizzare l’Iva?
No, sarebbe una politica miope, di breve respiro. Evitare l’aumento dell’Iva è certamente una misura popolare ma poi? L’economia italiana senza un vero piano di sviluppo rischia di restare tale e quale. Insomma i creditori ci presterebbero questo denaro a fronte di un piano – ad esempio sugli investimenti pubblici – serio e ragionevole. Se invece pensano che siamo quelli che vogliamo un vestito nuovo e lo vogliamo comprare a tutti i costi a fronte dei tanti debiti che già abbiamo, riceveremmo sicuramente una bocciatura.