Come volevasi dimostrare, la convention tenuta ieri dal Partito democratico a Roma non ha dato segnali di uscita dallo stallo in cui il partito sembra da tempo precipitato. Tanto che, pur esistendo nel Paese una resistente opposizione a questo governo (soprattutto nella classe intellettuale e giornalistica), si può dire che esso possa ancora dormire sonni tranqulli.
Fra i cittadini, l’immagine del Pd continua a non bucare. Anzi. Tanto che, paradossalmente, il governo può crearsi addirittura, come sta succedendo in questi giorni, l’opposizione al proprio interno. Ma perché il Pd continua a non trasmettere all’esterno un’immagine positiva di sé? Consideriamo, prima di tutto, i temi del dibattito.
Mentre i partiti al governo propongono, in modo confuso e spesso litigando fra di loro, temi concreti e ben identificabili dai cittadini elettori (Tav, reddito di cittadinanza, quota 100, controllo dell’emigrazione), il Pd è fermo a vaghe enunciazioni ideali (combattere le ingiustizie, essere ospitali, combattere la crisi dell’Ue con “più Europa” e non meno, ecc. ecc.). Al pragmatismo nudo e crudo dei primi, si contrappongono in positivo solo vaghe enunciazioni ideali. Le quali, nonostante il loro carattere, e nonostante i continui richiami all’unità, mal mascherano la lotta di potere in corso nel partito fra gli aspiranti leader. Una lotta che c’è anche altrove, come in genere c’è sempre in politica, ma che qui suona al cittadino medio fastidiosa perché ammantata di ideali nobili e virtuosi.
È evidente che il richiamo all’unità di Zingaretti e la maglietta “noi non dividiamo noi sommiamo” con cui si è presentato alla convention Martina sono comunicativamente un errore: se richiami all’unità, significa che non ce l’hai. Certo, l’appello all’unità è un classico delle forze di sinistra, la cui storia è fatta di divisioni e spaccature. Oggi però le grandi masse sono scomparse e i più deboli non votano più il Pd (e spesso nemmeno più a sinistra). L’inquietante presenza-assenza di Renzi e del suo gruppo ha poi mandato ulteriori segnali di divisione, se non di una latente scissione.
Il vecchio segretario guarda ad una forza di centro, che aggreghi pure qualche transfuga di Forza Italia? È probabile. D’altronde, in un sistema tutto sommato proporzionale quale il nostro attuale, essa avrebbe sicuramente uno spazio, come ci ricorda Angelo Panebianco. Che però gli italiani si stanchino presto degli “estremismi”, come prevede o auspica il politologo bolognese, mi sembra più improbabile. Oggi la polarizzazione delle coscienze è forte, ed è in atto un po’ dappertutto nel mondo. Le grandi e rapide trasformazioni, sociali e tecniche, non possono che accentuarla.
Non credo che basti un sistema proporzionale per far rivivere in Italia forze che nel loro “moderatismo” trasmettono, ci piaccia o no, l’idea di un modo vecchio di far politica.