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Phisikk du role – L’Europa che verrà

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Il 26 maggio delle europee è sullo sfondo come una fastidiosa ineluttabilità, mentre la politica italiana continua a consumarsi sul quotidiano, fatto di microconflitti ad uso mediatico, del solito apparato di digrignamento di denti, di uso di parole violente per coprire il vuoto di pensiero e, in ultimo, dell’eterno congresso del Pd. Passa in cavalleria un dettaglio: la posta in gioco, che non è certamente quella di consentire a Salvini di prendere le misure per un eventuale show down della legislatura, con l’obiettivo di ricomporre sotto l’icona della sua maglia di capitano un governo a guida ultrasovranista.

Il voto di maggio ha dentro molto di più: il destino stesso di un’Europa ferita da attacchi esterni e da fratture interne, avvelenata da un ideologismo nazional-populista che la attraversa in modo trasversale, compattandosi con l’unico punto di convergenza tra Trump, Putin e Xi: il ridimensionamento dell’incomodo europeo sulla scena mondiale. Forse non è facile da raccontare ad un elettore inondato da messaggi traversi che questo potrebbe essere, invece, per noi italiani forse il momento migliore per provare a riacciuffare un ruolo non più laterale ma protagonistico in un contesto europeo che deve necessariamente rivedere i suoi progetti e le modalità per farli vivere.

Ma il discorso pubblico delle opposizioni italiane è stretto da un lato dall’europeismo proclamato con qualche leggera sprezzatura sulle labbra, con l’aria di raccontare “che volete saperne voi incolti dell’Europa che conosciamo solo noi che parliamo le lingue”, che continuerà a far lanciare qualche gridolino d’entusiasmo all’interno di piccole nicchie di sterile aristocraticismo, ma non riuscirà, però, a guadagnare un millimetro di consenso popolare. Dall’altro dalla ripetizione dell’assioma “non possiamo non essere europei” lanciato come un mantra senza spiegarne le ragioni, che rischia di cacciare la questione nell’angolo buio di un rito improduttivo. E poi ci sono le tentazioni dell’agglutinamento.

La generosità delle iniziative di chi, come Calenda, propone liste antisovraniste da cucire col Pd e con aree politiche di vocazione liberal-democratica eccetera, forse non mette nel conto adeguatamente la formula elettorale proporzionale con voto di preferenza e la opportunità di proporre all’ elettore un’offerta politica omogenea all’interno, però, di una proposta plurale e non racchiusa in una sola lista. Va raccolto lo spirito, ma vanno allineate più proposte dotate di propria fisionomia ed autonomia. L’area riformista, che trova nella Bonino un riferimento, le idealità liberal-democratiche di cui sono portatori partiti italiani, come il Pde, che si ritrovano in Europa nell’Alde, le sensibilità ambientaliste e quelle del civismo, alcune importanti esperienze maturate nell’ambito del solidarismo cattolico, possono rappresentare un’offerta politica in grado di motivare la presenza di una lista autonoma, diversa da quella del Pd (quale che possa essere il nome che questo partito andrà a scegliere per il voto europeo) e diversa dalla sinistra sociale che oggi trova una rappresentanza parlamentare nel gruppo di Leu e che potrebbe raccogliere altre esperienze più identitarie sul fronte “left”.

Un’offerta plurale, dunque, come si conviene in una competizione con la regola proporzionale, in cui il vasto campo dell’Italia liberal-democratica, riformista, sensibile si richiami della solidarietà e dell’ambientalismo, oggi senza rappresentanza, trovi l’occasione europea per riconoscere le sue ragioni. Purché sappia capirle per tempo e attrezzarsi per sostenerle.

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