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Pietro Spirito: l’innovatore progetta il proprio sogno

Spesso si definisce un’organizzazione o un’azienda innovativa solo perché opera in settori nuovi, o considerati tali dai media. Ma è un errore perché anche in tanti settori ‘tradizionali’ ci sono aziende e organizzazioni che fanno innovazioni di processo, di prodotto o dell’offerta. E dietro a tutte queste innovazioni, ci sono donne e uomini che amano il proprio lavoro. Persone che hanno fatto loro il proverbio africano “Chi vuole sul serio qualcosa trova una strada, gli altri una scusa” e che sanno che la vera innovazione è quella condivisa in grado di generare benessere per la collettività.Quest’intervista fa parte della rubrica Innovatori pubblicata su www.robertorace.com. Uno spazio in cui proviamo a raccontare le storie degli Innovatori, a scoprirne modi di pensare, predilezioni e visioni del mondo. Cercando di capire meglio cosa ci riservano presente e futuro.

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“Siamo uomini o caporali?”. Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, ci ricorda che il servilismo verso il potere in quel momento dominante costituisce un tratto distintivo nella formazione morale degli Italiani. E i risultati di questa sciagurata attitudine si vedono tutti.
Il nostro Paese si è adagiato sul conformismo, ripudia l’innovazione, si trascina stancamente verso il declino. Pietro Spirito -56 anni- nella sua storia professionale ha cercato sempre di orientare l’attività lavorativa e l’impegno civile in direzione opposta rispetto al conformismo nazionale.
Per la public company contro il capitalismo familiare all’epoca della Montedison di Mario Schimberni, per le ferrovie gestite in modo rigoroso come una società per azioni in mano dello Stato contro chi pensava che fosse impossibile risanarne il bilancio, per un’Atac aperta alla liberalizzazione del mercato del trasporto pubblico locale contro le camarille dei politici locali e dei corporativismi sindacali di settore.
Ora Presidente della Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale (i porti di Napoli, Salerno e Castellammare), dopo aver guidato l’Interporto di Bologna, cerca di far comprendere che lo sviluppo del Mezzogiorno passa per una reindustrializzazione unita alla densità delle connessioni logistiche e marittime.

D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. L’innovatore coltiva un sogno ed un disegno al tempo stesso. Tiene assieme la passione e la ragione. Ha la testa tra le nuvole ed i piedi ben piantati per terra. Riesce ad essere tale proprio perché mantiene una ambivalenza che è un ponte tra passato e futuro.

D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. La digitalizzazione sta già cambiando il mondo. Vivremo immersi in un mondo di dati accessibili, e solo chi sarà in grado di decodificarli riuscirà a generare valore.

D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Il leader è l’esempio. Sta alla testa del cambiamento, si assume le responsabilità, difende i suoi e li responsabilizza al tempo stesso.

D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Mario Schimberni: un uomo di poche parole, che trasmetteva leadership con il suo sguardo, che comunicava, per chi non lo conoscesse bene, apparentemente ruvidezza, ma che in realtà era determinazione unita alla passione

D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. La mia più grande paura è sempre stata la noia, la routine, il conservatorismo. La mia più grande speranza continua ad essere il cambiamento verso una condizione evolutiva.

D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Assegnare ai porti meridionali quel ruolo di motore per lo sviluppo economico che è stato smarrito nel Sud degli ultimi decenni.
Ne parlo nel mio più recente libro: “Il futuro del sistema portuale meridionale tra Mediterraneo e Via della Seta”, Rubbettino editore.

D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. Raggiungere un traguardo faticoso dopo aver combattuto è sempre una grande emozione. Stare a discutere con i tanti pesci in barile che pensano solo alla propria “cadrega”, senza alcun anelito di interesse pubblico, continua a farmi arrabbiare, anzi, per meglio dire, a farmi indignare.

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