Skip to main content

Il re è nudo e le élite non lo accettano. Parla monsignor Bollati

Risale allo scorso maggio la pubblicazione da parte della Santa Sede del rilevante documento “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario”, un testo talvolta passato sottotraccia, nonostante la portata delle riflessioni che vi sono contenute. Monsignor Riccardo Bollati, a servizio dal lontano 1995 per la Congregazione per la Dottrina della Fede, dal 2015 nominato da Papa Francesco segretario aggiunto della Commissione Teologica internazionale, docente di teologia e dottrina sociale della Chiesa all’Università cattolica del Sacro cuore e già stretto collaboratore di Benedetto XVI durante il suo pontificato, in una recente pubblicazione della Libreria editrice vaticana intitolata “Il potere del denaro per il bene comune”, una raccolta di riflessioni etico-economiche da parte di autorevoli studiosi ed esperti prendendo come filo comune il documento vaticano, riprende in mano l’argomento con l’obiettivo di rispondere alle preoccupazioni crescenti che da diversi anni caratterizzano il dibattito pubblico, e dalle quali, ancora oggi, difficilmente se ne intravede una via di uscita. In questa conversazione con Formiche.net ne abbiamo ripercorso i punti principali.

Il documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones è un testo di grande importanza per la Chiesa ma soprattutto per le difficoltà del mondo legate all’attuale contesto di crisi economica, che perdura ormai da decenni. È così, la crisi economica è diventata endemica, una caratteristica dei nostri tempi?

Il documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones si colloca nel grande orizzonte della dottrina sociale della Chiesa, che ha ricevuto decisivo impulso dal magistero degli ultimi pontefici. In buona sostanza, tutto il recente magistero sociale pontificio ribadisce, in vario modo e con diverse sensibilità, che la crisi che stiamo vivendo, solo in seconda battuta è economica e politica. Essa è sistemica perché è anzitutto antropologica.

Nella prima parte il documento dice con chiarezza che ciò che mancano, oggi, sono un’adeguata visione del mondo e dell’uomo, insieme ad un’etica e ad una cultura che le incarnino concretamente. Senza questa visione di ampio respiro, tutta la prospettiva del vivere ruota attorno soprattutto a convenienze di parte e a relazioni del momento, tutto si riduce al corto termine, in cui vince sempre l’interesse del più forte. Anche le dinamiche economiche risentono di questa situazione in cui, di fatto, salta ogni forma di bene comune degno del nome. Ecco perché i più non si sentono tutelati e, sotto la cenere dell’indifferenza, cova un grande e pericoloso disagio.

A volte la tendenza è quella di pensare all’economia come un mondo a parte rispetto all’uomo, una scienza perfetta con logiche proprie. 

Bisogna smettere di pensare l’economia come un fenomeno a sé stante, isolabile da tutto il resto, vale a dire da società e politica. La società, cioè l’uomo in azione, precede l’economia, dà vita al fenomeno economico, e ne è anche esito. Perciò, dato che la società e l’uomo sono in costante evoluzione, sia in bene che in male, questo fatto ha un influsso necessario anche sui fenomeni e sulle dinamiche economiche, le quali non possono considerarsi come qualcosa di dato una volta per sempre, ma come una realtà in continuo movimento, necessariamente bisognosa di risistemazione, di continua riforma. Quindi considererei endemica all’economia, prima ancora delle crisi, anzitutto questa esigenza di continua riformulazione e riaggiustamento.

Cambiano anche i momenti della storia, e ogni epoca ha una particolarità propria che la contraddistingue. 

Certamente vi sono anche momenti storici, come quello che stiamo vivendo – perciò Papa Francesco lo definisce a ragione un “cambiamento d’epoca” – in cui tirando le somme della situazione non bastano semplici aggiustamenti, ma occorrono un ripensamento e riforme radicali, perché la crisi è ormai sistemica. Oggi un assetto politico ed economico, che pure nel passato ha avuto tanti meriti, ha ormai rivelato il suo “fiato corto”, e tutti hanno visto che “il re è nudo”… È ciò che le cosiddette élites (chi ha il compito di guidare) faticano ad accettare.

La gente ha iniziato a ribellarsi quando si è accorta di questo, cioè del fatto che chi ha in mano le redini del vero potere non accetta di fare davvero i conti con questa situazione e non si apre ad un cambiamento radicale. Il Papa lo ha gridato “in tutte le salse”, e il documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones ha ripreso questo grido. I populismi avranno sempre più successo finché non si accetterà di riconoscere la realtà che è ormai sotto gli occhi di tutti e di iniziare un cambiamento serio. Ad esempio, continuare a dire con tono professorale che “la povertà relativa è comunque diminuita nel mondo…”, quando tutti vedono che in occidente le classi medie si stanno bruscamente accorciando e gli ascensori sociali si sono bloccati, suona come una grande presa in giro. Non bisogna allora stupirsi che poi “vinca facile” chi cavalca la rabbia della gente…

Il Papa spesso ha sottolineato le gravi storture di un sistema, come quello capitalistico, che se non orientato al bene comune e dell’uomo è destinato a diventare strumento di “un’economia che uccide”. Quali sono per la Chiesa le sue principali contraddizioni e problematiche, secondo quanto emerge anche dalle riflessioni del libro?

Tutti i contributi del volume Il potere del denaro per il bene comune rilevano in qualche modo la necessità ineludibile di offrire un orizzonte più a misura d’uomo, e maggiormente al servizio dell’economia reale, delle attuali dinamiche economico-finanziarie. Quali le cause principali dei problemi odierni?

Qui credo che pesi anzitutto la scelta di considerare l’economia gestibile a partire solo dalle sue dinamiche interne, indipendentemente dall’uomo che la gestisce, uomo che di fatto possiede una sua mentalità, ethos e cultura di riferimento. La svalutazione del peso specifico di questo fatto ha generato e genera storture, disuguaglianze e disumanità senza fine. Il documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones afferma, in sostanza, che una visione del mondo, un’etica e una cultura ad essa organiche e coerentemente amiche della persona, aiutano anche l’economia a svilupparsi al meglio e ad essere più efficiente, cioè più capace non solo di produrre ricchezza ma anche di distribuirla meglio.

Da lì, il punto è capire come mettere in pratica questi orientamenti.

Occorre mettere esplicitamente a tema verso quale tipo di uomo e società ci si vuole dirigere, anche in ambito economico-finanziario, sennò prevale solo la legge del più forte e l’equità diviene una bella parola retorica. Se non si arriva fino a toccare questo punto, ogni tentativo di cambiamento sarà in fondo solo parziale, non risolutivo e non si sfrutterà mai appieno tutto il potenziale benefico che l’economia ha per l’uomo.

Non si può pensare di continuare a gestire l’economia come un’arena in cui i più devono sottostare alle leggi dettate dai grandi soggetti economici e in cui il denaro, ormai sganciato da ogni controvalore reale, con un’inarrestabile marcia dei volumi della finanza speculativa, si sta mangiando tutte le risorse che dovrebbero essere invece offerte come linfa vitale all’economia reale. Se non si riflette fino in fondo sull’origine ultima di questi inconvenienti, si andrà incontro a disastri e conflitti sociali ancora più pesanti di quelli che abbiamo già visto. Perciò occorre mettere a tema un reale cambiamento di paradigma, vale a dire un radicale mutamento di prospettiva, che arrivi alle radici ultime dei problemi. Poi saranno efficaci anche le proposte concrete, che sono comunque tante nel nostro documento.

In contemporanea all’uscita del documento vaticano si era parlato anche dell’ideazione di una “finanza cattolica”, che in qualche modo riporta alla mente anche la finanza islamica che già si studia nelle università, e che consisterebbe in una sorta di vidimazione degli investimenti finanziari secondo criteri di natura etica e morale.

In realtà, il documento non intende offrire una visione confessionale dei problemi economici che affronta, perché parte da un’evidenza rilevabile da tutti, cioè dalla “certezza che in tutte le culture ci sono molteplici convergenze etiche, espressione di una comune sapienza morale, sul cui ordine oggettivo si fonda la dignità della persona”. Esso parte dall’evidenza che la realtà, anche quella morale, ha una sua struttura originaria, che non è totalmente plasmabile dalle diverse declinazioni culturali che l’uomo si dà. Si tratta infatti di un ordine etico oggettivo “radicato nella sapienza di Dio Creatore”, senza di cui “l’arbitrio e l’abuso del più forte finiscono per dominare sulla scena umana”. É un ordine che fa appello anzitutto alla ragione umana, alla ragione morale di ogni uomo e riguarda perciò tutti. Non solo i cattolici. Perché la ragione morale umana si fonda su di un ordine basato sulla realtà delle cose – cioè sulla verità – e sull’equità – cioè sul bene. E la verità e il bene interpellano tutti.

Fra l’altro, la dottrina sociale della Chiesa, anche se nasce dallo sguardo teologale che la Chiesa porta sull’uomo e sul mondo, argomenta sempre a partire dalla ragione e da ciò che la tradizione ecclesiale chiama “legge morale naturale”, al di là poi di come essa venga declinata. Il documento, infatti, non si rivolge solo ai cattolici ma “a tutti gli uomini di buona volontà”, vale a dire a tutti coloro che praticano un uso della ragione morale leale con la verità e il bene. Il documento ha dunque la pretesa di interpellare tutti, dato che la ragione umana è spinta dalla sua stessa natura a cercare nella verità e nel bene “quel solido fondamento a cui appoggiare il suo operare”.

L’eccezionalità del documento è stata anche quella di vedere lavorare insieme la Congregazione per la dottrina della fede, deputata a vagliare almeno storicamente altre problematiche di natura teologica e dottrinale, e il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Significa che in una società sempre più complessa, come la nostra, la fede del cristiano si misura anche dalle scelte economiche che compie?

Molti si sono sorpresi che la Congregazione per la dottrina della fede abbia preso l’iniziativa di un documento simile. In realtà, spesso ci si dimentica sia del fatto che questo Dicastero ha competenza anche in ambito morale, e sia del fatto che, come afferma il documento conciliare Gaudium et spes, “l’attività economica deve essere condotta secondo le leggi e i metodi propri, ma nell’ambito dell’ordine morale”.

Quindi la Congregazione ha una specifica competenza morale che si estende a tutto ciò che riguarda l’uomo in azione, compresa la politica e l’economia. Fra l’altro, non dimentichiamo che la Chiesa cattolica “riconosce fra i suoi compiti primari anche quello di richiamare a tutti, con umile certezza, alcuni chiari principi etici”. Essa rivendica cioè una sua autorevolezza specifica nel grande e difficile compito di identificare l’ordine oggettivo, su cui si fonda la morale umana, fino al suo declinarsi concreto.

Indicazioni dunque aperte a tutti, non solo alla Chiesa o ai cattolici. 

Se questo ordine oggettivo della morale interpella tutti, ciò vale a maggior ragione per i cristiani e per i cattolici, in particolare. Oserei dire che i cattolici, grazie alla sapienza secolare della Chiesa, intendono offrire – non per loro merito ma per un dono ricevuto – anche una particolare expertise dell’umano e di promozione e salvaguardia della dignità umana. Inoltre, la fede rende assai concreti e realisti: ad esempio ci insegna che ogni singolo gesto buono è prezioso e non va perso. Così, valorizza ciò che nel documento è chiamato “voto col portafoglio”, cioè l’esercizio eticamente critico e responsabile dei propri consumi, e un simile utilizzo dei propri risparmi.

Non è solo una questione di coerenza, ma anzitutto di consapevolezza – come dice il documento – che “ogni gesto della nostra libertà, anche se può apparire fragile ed insignificante, se davvero orientato al bene autentico, si appoggia a Colui che è Signore buono della storia, e diviene parte di una positività che supera le nostre povere forze, unendo indissolubilmente tutti gli atti di buona volontà in una rete che collega cielo e terra, vero strumento di umanizzazione dell’uomo e del mondo”. La fede in Cristo ci dà speranza e ci spinge a credere in questa “rete”, tessuta dalle mani buone di Dio, che collega cielo e terra. Con la preghiera, ci invita ad appoggiare ogni nostro tentativo, anche il più piccolo ed apparentemente insignificante, a questa potente trama di bene che regge il mondo e la storia, una trama che rilancia il bene ed argina il male. È questa anche l’azione della Misericordia di Dio all’opera nel mondo.

(continua – parte 1 di 2)



×

Iscriviti alla newsletter