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La responsabilità politica dei giovani

Qualche giorno fa si è svolto a Roma, al Centro Studi Americani, un convegno dal titolo impegnativo e forse anche un po’ fuorviante: “Giovani e cultura politica: dalla responsabilità alla leadership”. Che il titolo potesse fuorviare dipende dal fatto che un lettore frettoloso avrebbe potuto facilmente archiviare l’incontro nella categoria dei convegni sui giovani organizzati da stimati e stimabili non giovani, pieni di consigli da dispensare ma alla fine ben saldi a tenersi fissi nelle loro posizioni di potere.

In quanti son disposti ad ascoltare le ragioni dei giovani e a dare loro fiducia? Chi vuole veramente  metterli alla prova senza voler fare di loro dei piccoli cloni e affidando loro responsabilità vere? Senza contare che i prescelti sono spesso non i più ambiziosi, come è anche giusto che sia (l’ambizione quando non è velleitaria è una virtù), ma gli arrivisti, cioè coloro che hanno poche idee ma molta voglia di occupare subito ruoli e posizioni di potere. Sarà banale, ma il problema delle classi dirigenti italiane è tutto qua. E lo si avverte con maggiore gravità oggi che il mondo corre e impone nuovi paradigmi di pensiero e nuove modalità d’azione.

Ritornando al convegno romano, la sorpresa è stata che Riccardo Pilat, il giovane triestino che lo aveva promosso (ha solo 23 anni), era riuscito a mettere attorno al tavolo giovani impegnati in senso lato in politica ma soprattutto giovani con molte idee da perorare.

Il think tank a cui Pilat sta dando corpo si chiama “Idee per il XXI secolo” e ha come suo scopo quello di provare a dare una cifra umana, attraverso la politica, al mondo futuro che si prospetta sia in campo politico e geopolitico sia in quello tecnico o delle scienze applicate (fra intelligenza artificiale, bioingegneria, gestione dei dati informatici, “realtà aumentata” e quanto altro). Pilat parla di “Umanesimo 4.0” e ha dato supporto al suo  progetto con un volume uscito qualche mese fa per i tipi di “Historica” (che è un marchio editoriale che fa capo ad un altro giovanissimo di talento, il cesenate Francesco Giubilei): L’armonia del potere. Verso una nuova agorà dell’umanesimo.

I lavori, introdotti da Paolo Messa, hanno ruotato attorno a tre domande, sostanzialmente: quelle su chi siano i giovani, su come possano fare oggi politica ed esercitare la leadership, di quale cultura politica hanno bisogno. Nel mio intervento, non credo solo per tirare acqua al mio mulino di non più giovane, ho proposto la distinzione fra la categoria ideale e quella reale o biografica che fa da sfondo al termine: nel primo senso giovani sono tutti coloro che sanno ancora stupirsi, meravigliarsi, provare curiosità e partecipazione per il nuovo, che quando si manifesta, come in questi nostri tempi, non può che assumere un profilo che a tutta prima sembra confuso e contraddittorio e per qualcuno addirittura inquietante. In verità, basta un po’ scrostare, se solo se ne ha la voglia o la capacità…. La politica è cambiata? Nelle forme e negli strumenti certo che sì, soprattutto grazie alla rete. Ma essa è anche in qualche modo ritornata, secondo me, dopo l’ubriacatura delle ideologie spesso fattesi realtà tragica nel secolo scorso.

È politica quella che vuole realizzare una idea astratta, costi quel che costi,  o piuttosto quella che le buone idee le fa maturare nel gioco di forze e interessi reali che costituiscono il nostro mondo? L’umanesimo e il rinascimento furono anche questo, come il grande Machiavelli (amato e compreso da Pilat) sta in ogni momento a ricordarci. Più che l’avvento della rete, è la fine del Novecento che andrebbe messa a tema. E anche quindi la fine di quelle culture politiche che lo hanno mosso e che oggi, senza essere rinnegate nella loro parte migliore, vanno storicizzate e ripensate in nuove e proficue sintesi più vicine al reale. Chi più di coloro che sono giovani, in età o in spirito, possono assumersi sulle spalle questo pesante ma affascinante fardello di responsabilità?

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