E alla fine il testa a testa annunciato dagli exit poll non c’è stato. Il Centrodestra a traino leghista, che candidava Christian Solinas, ha nettamente distanziato il centrosinistra “inclusivo” di Massimo Zedda alle elezioni regionali sarde. Tutto come in Abruzzo. Un’altra battaglia vinta del solo politico vincente oggi in Italia: Matteo Salvini. È confermato invece, come in Abruzzo, il crollo dei Cinque Stelle, almeno se si considera come termine di riferimento la tornata politica del 4 marzo dell’anno scorso. In un anno, il Movimento sembra aver perso per strada metà dei consensi, un dato tanto più clamoroso proprio se rapportato alla opposta performance salviniana.
Non credo che c’entri molto, in questo caso, la dimensione locale della consultazione: il Movimento in altre occasioni ce l’ha fatta anche in questo tipo di appuntamenti. Credo che conti di più l’insoddisfazione degli elettori non tanto per il “cambiamento” che non c’è stato, come pensa l’ala radicale del Movimento, quanto per l’incapacità politica dimostrata da una classe dirigente improvvisata e che probabilmente deve ancora farsi le ossa. Farsi le ossa, oppure individuare nuove persone, non necessariamente appartenenti al vecchio establishment (la cooptazione di un Giuseppe Conte ha ad esempio funzionato).
Se la riorganizzazione proposta da Di Maio andrà in questa direzione, il Movimento giocherà un ruolo importante e autonomo anche in futuro. Il futuro invece, sempre a mio avviso, non darà molte chance a forze come il Pd incapaci per propria interna genetica e mentalità di rinnovarsi. Ciò non significa che opportunità non ce ne saranno per una sinistra d’opposizione. Anche questa però, sempre secondo la mia analisi, dovrà assumere dosi omeopatiche di “populismo”, come a suo modo ha fatto la destra, per risultare credibili agli occhi dei più. Una parte del Movimento, se non tutto, potrebbe giocare un ruolo in questa ridefinizione della sinistra.
Non è dato ancora sapere i dati disaggregati per partito, ma, più che a livello nazionale, questa tornata elettorale ci consegna una frammentazione forse insopportabile per il Paese sulla lunga distanza: nessun partito può tendere oggi ad essere maggioritario, tutti hanno bisogno anche degli altri. Chi più soffre questa condizione di mancata autosufficienza, almeno tendenziale, sono proprio i Cinque Stelle, che solo un anno fa sembravano potere legittimamente aspirare a questo obiettivo.
Sul governo non dovrebbero esserci contraccolpi, soprattutto perché non ci sono alternative praticabili o più vantaggiose per nessuno dei giocatori in campo. L’opera di riorganizzazione pentastellata e quella di ulteriore consolidamento salviniano a destra possono d’altronde continuare anche in questa situazione. Anzi, tanto meglio per tutti.