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Per Eurostat si nasce sempre meno. Il declino dell’Europa (e dell’Italia)

Eurostat ha presentato il suo rapporto allarmante sulla grave crisi demografica dell’Europa. Una popolazione in declino è una popolazione che invecchia ed è e sarà ancora di più un problema più radicale e il più grave che dovremo affrontare. L’Unione europea ha raggiunto una popolazione di 509,4 milioni nel 2015 ma prevede che la sua popolazione raggiungerà i 518 milioni solo nel 2080 – cioè tra 60 anni – scendendo a 407 milioni se non importerà persone. A lungo l’impronta demografica dell’Europa verso il basso è stata nascosta dall’immigrazione e dagli aumenti della longevità: la popolazione è rimasta la stessa anche se le percentuali di natalità sono diminuite.

La Germania, dice Eurostat, ha la metà della popolazione con più di 47 anni con l’Italia e Austria che la seguono e sono tra le più vecchie società del mondo. Il mezzo secolo in cui la fertilità europea è stata al di sotto del rimpiazzo è stato anche un mezzo secolo di immigrazione di massa. La Svezia ha una popolazione musulmana dell’8,1% e raggiungerà il 30% entro il 2050. Gli Europei sono portati a trascurare o ignorare il problema demografico ma l’immigrazione soprattutto quella proveniente dall’Africa sarà inevitabile perché incontrollabile a causa di guerre mentre l’Africa e dunque i giovani africani sono destinati a raddoppiare la loro popolazione in quanto la questione demografica e sociale è evidentemente grandissima.

Ungheria e Italia, fa notare Eurostat, combattono allo stesso modo per allontanare sia l’immigrazione che l’emigrazione chiudendo porti e confini crescita ma dobbiamo avere ben presente che per mantenere la popolazione attiva all’Italia serve e servirà milioni di immigrati. Il calo demografico nel 2018 è grande: al primo gennaio 2019 la popolazione italiana ammontava a 60 milioni cioè 391 mila persone in meno rispetto all’anno precedente con più di 2,2 milioni di italiani con più di 85 anni che sono il 3,6% dei residenti. Diminuiscono le nascite, con 9.000 bambini in meno del 2017 e il tasso di fecondità pari a 1,32 figli per donna e sempre più avanti l’età della maternità intorno ai media di 32 anni. Lo stato sociale del ventesimo secolo è ovviamente messo a dura prova perché il calo del numero dei lavoratori e lavoratrici e dunque contribuenti rende il debito pubblico più difficile da ripagare in particolare come da noi che siamo fortemente indebitati.

Dobbiamo dunque renderci conto che viviamo in un’epoca di migrazione di massa e dobbiamo gestire l’integrazione prima di tutto e non possiamo arrestare l’immigrazione e l’emigrazione dei nostri giovani sapendo, per fare numeri veri, che le uscite dal nostro Paese continuano essere numerosissime: sono 120 mila i nostri giovani partiti nel 2018 contro 47 mila rimpatriati. Mantenere costante il rapporto tra pensionati e lavoratori è un obiettivo irrinunciabile e occorrono milioni di persone in età lavorativa che mantengano vitale l’Italia.

Incentivi per natalità, orari di lavoro flessibili e sostegno alle imprese senza investire in sviluppo economico non bastano: ci vuole una politica di rilancio dell’occupazione giovanile, femminile e sostegno alla famiglia perché con stipendi medi al primo impiego di 830 euro e il sussidio di 780 euro del “reddito di pigrizia”, c’è un elemento di disincentivazione alla ricerca del lavoro, con un rischio reale dei piccoli lavoretti offerti (mini jobs cocopro) e il resto compensato con il sussidio. Inoltre c’è la diminuzione dell’occupazione che galoppa, con i centri per l’impiego intasati da domande e percorsi irrealizzabili.

Secondo l’Istat l’80% dei disoccupati non rientrerebbe nel reddito di cittadinanza (ma in Italia si stanno organizzando per le truffe sull’Isee incontrollabili) ma i lavoratori extra-comunitari non residenti in Italia e tanti altri sono esclusi dal programma di lotta alla povertà e potrebbero anche accettare i salari rifiutati dai beneficiari del reddito del governo pentaleghista, sapendo che gli sconti per le aziende che assumono quelli che hanno il reddito di cittadinanza si applicano solo ai contratti a tempo indeterminato. Peraltro poco probabili per i lavoratori a bassa competenza che rappresentano il 64% dei beneficiari, dunque l’esclusione degli stranieri è uno svantaggio per tutti e per l’Italia. Il cambio di passo della politica deve essere immediato. Pena la distruzione del nostro Paese.



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