Lo Stato, nella storia repubblicana, non ha dato molte prove luminose, quando direttamente impegnato nella gestione economica. Da qualche lustro, non certo a caso, si è proceduto ad una progressiva dismissione delle partecipazioni statali. Non tutte felici, basti pensare al caso Telecom. Un colosso potenzialmente mondiale ridotto a comparsa, nel panorama globale della telefonia. Comunque, è opinione comune che meno Stato ci sia in economia, meglio vada per l’efficienza in generale e la tasca del contribuente in particolare.
Ciononostante, negli ultimi mesi si moltiplicano i ritorni di fiamma per il controllo pubblico, in aspetti strategici delle nostre infrastrutture e non solo. La tragedia del ponte Morandi, a Genova, ha riportato d’attualità la gestione statale della rete autostradale. Senza ovviamente entrare nel merito del disastro dello scorso 14 agosto, appare arduo sostenere che in passato il pubblico abbia dato gran prova di sé in materia, per usare un eufemismo. Tutto legittimo, ovvio, ma a nessuno è sfuggito l’intento punitivo, nei confronti di un soggetto privato considerato, a torto o a ragione spetterà alla magistratura stabilirlo, responsabile dell’accaduto. Che il controllore sia sempre rimasto pubblico, peraltro, è stato frettolosamente archiviato…
Comunque andrà a finire l’iter giudiziario della vicenda Morandi, richiamare una gestione rivelatasi perlopiù fallimentare appare un azzardo. A voler essere ottimisti. L’insopportabile telenovela della Salerno-Reggio Calabria, dovrebbe tenere chiunque lontanissimo dall’idea di tornare alla gestione pubblica della nostra rete autostradale.
Se passiamo al dossier Alitalia, poi, corrono brividi lungo la schiena. Negli ultimi giorni, si è di fatto parlato di una nazionalizzazione della ex-compagnia di bandiera. Reduce da una serie infinita di fallimentari salvataggi, rigorosamente a carico del contribuente, lo Stato si candida a tornare ad avere la maggioranza e il controllo della società, affiancando da una posizione di forza i due possibili soci industriali, Delta Airlines e Easyjet. Le vicende degli ultimi 15 anni le conoscete, in un’imbarazzante sequenza di strafalcioni politici e gestionali.
Oggi, però, c’è un aspetto che colpisce: la presenza massiccia e, come detto, persino maggioritaria dello Stato nell’assetto societario, è stata giustificata innanzitutto con l’esigenza di tutelare gli attuali livelli occupazionali. Tradotto, non si licenzia nessuno e si va avanti con AlItalia, dal punto di vista del personale, così com’è. In barba ai numeri dell’azienda e alla realtà. Non sarà sfuggito a molti, che questa posizione sia stata illustrata dal ministro Di Maio all’indomani della fuga di notizie (voluta proprio dalle parti di Colonia?!) sul piano di esuberi ipotizzato da Lufthansa. La compagnia tedesca aveva ufficiosamente parlato di 3000 dipendenti in meno, finendo fuori gioco nel giro di poche ore e sostituita dall’accoppiata anglo statunitense Delta-Easyjet e soprattutto da una ritrovata voglia di controllo pubblico in Alitalia. Come inizio del ritorno dello Stato nella compagnia non è male: nessuna considerazione di carattere economico-operativa, parola d’ordine tutelare i dipendenti, che le elezioni si avvicinano…
Tutto in linea, a ben vedere, con la storia del carrozzone pubblico della Magliana e soprattutto con buona pace delle decine di migliaia di lavoratori, che non hanno mai potuto godere dell’incredibile somma di privilegi concessa e garantita ai dipendenti Alitalia, da amministrazioni e governi di qualsiasi colore politico. Un disparità sanguinosa, per le tasche degli italiani, e moralmente inaccettabile.