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Summit vaticano sugli abusi, la Chiesa italiana sta lavorando da anni. Parla l’arcivescovo Ghizzoni

In questi giorni i riflettori di tutto il mondo sono puntati in Vaticano per il summit sugli abusi, eppure lo stesso staff comunicativo del Papa ha messo in guardia dal sovraccaricare di importanza l’incontro. Un importante test per la Chiesa universale, un esempio di governance globale fondato sul dialogo e sul riconoscimento delle differenze, per di più in un contesto di grave crisi. Una discussione che, per usare il linguaggio del pontefice, assume l’impostazione del poliedro e non di una sfera. In contemporanea, il riconoscimento della necessità tanto di un nuovo modo di essere e di fare Chiesa, tanto di un approccio radicalmente più materno, che si mostri fin dai suoi presupposti biologici, ovvero della necessità di una maggiore partecipazione delle donne nella vita ecclesiale, laddove le parrocchie e le diocesi operano concretamente relazionandosi con i fedeli e con il popolo della Chiesa. Quest’ultima, la Chiesa, ne esce tratteggiata con l’immagine di una famiglia che non deve privilegiare i forti, o i giusti, ma che ha il compito di stare vicina ai deboli e ai bisognosi. Mentre allo stesso tempo cerca di dare forma a un modello con il quale affrontare una problematica, quella della pedofilia e degli abusi sui minori, che di certo non riguarda solo la cattolicità, ma che al contrario è ampiamente diffusa, a livello sociale, con numeri da far rabbrividire.

Di tutto questo Formiche.net ne ha parlato con monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo metropolita di Ravenna-Cervia, nominato dal Papa nel settembre 2017 referente della Conferenza Episcopale Italiana per la Pontificia commissione per la tutela dei minori, e dal mese scorso anche primo presidente del Servizio nazionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nella Chiesa.

Eccellenza, secondo lei cosa ne uscirà, alla fine, da questi intensi giorni?

L’obiettivo di aver sensibilizzato in modo forte tutte le conferenze episcopali, attraverso i presidenti, è un punto che certamente sarà raggiunto. Siccome c’erano molte differenze tra conferenze episcopali, dovute soprattutto alla grande varietà di culture, abitudini, legislazioni che ci sono nel mondo, la Santa Sede ha voluto un momento per dare a tutti una spinta, per fare un passo in avanti. Perché tutta la Chiesa insieme, collegialmente o sinodalmente come dice spesso Papa Francesco, non solo prenda a cuore il problema ma anche reagisca, lo affronti, crei nuove linee guida, prepari delle persone, organizzi della attività di prevenzione. Insomma, affinché si mettano in movimento quell’insieme attività che in alcuni regioni e diocesi del mondo sono già partite, e anche da tempo, mentre in altre invece no, sono ancora più a livello di intenzioni.

Tra gli interventi di questi giorni in Vaticano ce ne sono stati alcuni che l’hanno colpita particolarmente? Per esempio, il cardinale Marx ha parlato di “ridefinire la confidenzialità e il segreto, e distinguerli dalla protezione dei dati”.

Ci sono alcuni problemi derivanti proprio dall’impostazione tradizionale del diritto canonico, e queste sono riforme che spettano direttamente alla Chiesa universale e alla Santa sede. Io sono stato colpito dai 21 punti che il Papa ha distribuito il primo giorno, che sono semplici e molto sintetici, ma chiedono a molti di fare davvero dei passi in avanti, che non è una cosa semplice né scontata. Poi è fondamentale anche il tema della donna, che è stato sottolineato, e mi sembra che lo si sia fatto in modo bello. Io penso che dovremo dare, in questo campo in modo particolare, più spazio alle donne. A questo proposito nelle nostre équipe, in Italia, stiamo lanciando il Servizio nazionale per la Tutela dei minori, soprattutto a livello regionale e diocesano. Nello scegliere i consulenti, gli esperti, quelli cioè che chiameremmo i referenti diocesani, certamente dovremo scegliere delle persone competenti, che lavorano già in questo settore, ma forse soprattutto dovranno essere delle donne, con esperienza e competenza in questo campo.

Si è citata molto l’idea di un cambio di mentalità.

C’è certamente anche da sottolineare il fatto, di cui hanno parlato in molti, di un cambio di mentalità. Rispetto alla chiusura, la paura dello scandalo e delle conseguenze, che non è solo da parte dei vescovi o dei preti ma anche da parte della gente, di chi non ha mai voluto denunciare o parlarne, di non farsi aiutare pur stando male. Qui c’è davvero da sostenere un cammino di trasparenza per chi ha autorità, e un cammino di apertura e di ricerca di un dialogo per un accompagnamento. Per saltare fuori dalle ferite, che altrimenti uno è condannato a portarsi dietro per tutta la vita, se non le affronta con l’aiuto di qualcuno.

Oltre alla gravità del tema degli abusi in sé, delle ferite aperte sulle singole persone, c’è quindi anche il tema della ricerca di un nuovo modo di essere Chiesa, una conversione come dice spesso il Papa, un nuovo modo di rivedere certi atteggiamenti.

Secondo me c’è davvero una visione diversa, quella di dire che ci mettiamo dalla parte dei minori, di quelli che potrebbero essere danneggiati, delle persone vulnerabili. Guardiamo dalla loro parte, per come organizzare la vita parrocchiale, le nostre attività, quelle sulla quali noi possiamo avere la possibilità di intervenire: lì dovremmo metterci dalla parte dei più piccoli e riprogrammare le cose dal loro punto di vista. Questo vuol dire che la Chiesa non deve pensare e strutturarsi sulle persone più forti, più intelligenti e più capaci, ma a partire dagli altri. E certo è un bel cambiamento.

Parafrasando il concetto di Chiesa povera per i poveri, si potrebbe provocatoriamente parlare di una Chiesa per i deboli. O magari debole per i deboli. Anche se poi si aprirebbe la discussione filosofica sul pensiero forte o debole….

Per stare con i deboli e i piccoli bisogna essere forti. Perché la tentazione che abbiamo è l’opposta, quella del potere. Per riuscire a rinunciare al potere, al dominio, e mettersi al servizio, mettendo al primo posto i più piccoli e i più vulnerabili, ci vuole una certa fortezza spirituale. O il rischio è di scambiare la debolezza con l’arrendevolezza. Qui si tratta di avere coraggio, di agire e di affrontare situazioni molto difficili tenendo conto che per cambiare stile, in questo campo, c’è da lottare contro le resistenze, le abitudini. A volte assunte anche in buona fede, ma da parte di persone che, invece, al primo posto mettono altri valori.

Un maggiore coinvolgimento delle donne potrebbe essere una soluzione determinante?

Secondo me sì. Del resto se io penso alle nostre collaboratrici, in parrocchia, sono molte più le donne che gli uomini, quindi già nel campo educativo abbiamo un grosso apporto delle donne, almeno in Italia, ma penso anche nelle altre Chiese. E se noi impostiamo il nostro impegno per la tutela dei minori soprattutto sulla prevenzione, e sull’educazione, avremo bisogno molto dell’apporto delle catechiste, delle insegnanti, delle educatrici, o delle coppie giovani che lavorano sull’adolescenza o sull’educazione affettiva e sessuale. Abbiamo bisogno di persone mature, naturalmente, e capaci, ma che siano anche laiche, e penso in buona parte donne.

Quindi si parla principalmente di laiche, più che di consacrate.

Sì… o meglio, in questo campo si parla anche di religiose per la verità. Purtroppo però oggi le religiose sono molto meno diffuse di un tempo, e se penso anche al campo educativo c’è un calo di vocazioni.

Venendo in Italia, come si come si sta muovendo la Chiesa italiana?

La Chiesa italiana sono diversi anni che sta lavorando su questi temi, anche se non ne abbiamo fatto pubblicità, perché dovevamo affrontare via via situazioni, casi, consigli che ci venivano chiesti, oppure servivano luoghi dove poter sostenere e accompagnare le persone che avevano problemi e difficoltà di vario genere. L’anno scorso abbiamo istituito una Commissione per la tutela dei minori che era fatta soprattutto di esperti e religiosi, preti o altri, che hanno redatto la bozza fondamentale delle nuove linee guida della Chiesa italiana. Questo lavoro è praticamente quasi finito, per quello che spetta noi, e adesso attendiamo l’approvazione della Santa sede. Poi in maggio, durante l’assemblea generale della Cei, faremo la presentazione di queste nuove linee guida, e spero nell’approvazione da parte di tutta l’assemblea dei vescovi.

Le linee guida non sono però l’unica risposta, o sbaglio?

Sì, nel frattempo abbiamo fatto qualcos’altro, cioè abbiamo creato un Servizio per la tutela dei minori che ha soprattutto il compito di fare nascere nelle regioni italiane, e nelle varie diocesi italiane, dei servizi regionali con i relativi referenti diocesani, perché ogni vescovo sia accompagnato da un esperto o da un’esperta che lo possa aiutare ad ascoltare, cogliere e affrontare i singoli casi. Ma anche e soprattutto per fare la prevenzione: non possiamo limitarci a reagire ai casi una volta che sono avvenuti, dobbiamo assolutamente intervenire prima, perché i nostri ambienti diventino più sicuri e i nostri collaboratori, laici o meno, siano formati affinché questi delitti non avvengano.

Si è parlato molto dell’apporto dei laici, allo stesso tempo però si parla molto anche dell’impegno dei cattolici in politica, di un cambio di atteggiamento e di una maggiore partecipazione. Può nascere anche da qui, paradossalmente, una spinta per una rinascita?

A livello personale vedo di buon occhio, e mi sembra l’unica via, quella che i laici diventino davvero più responsabili, in questo campo. Ma non solo a livello individuale, cioè come singole personalità, e ce ne sono. Ma a livello collettivo, per incidere più chiaramente nella vita della nostra nazione. Anche perché ci sono valori importanti per noi come cristiani e per la società civile, che hanno bisogno della luce che può venire dalla visione cristiana.

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