Tecnologia, roboetica, il futuro dell’uomo e quello di Dio. Una prospettiva di riflessione avvincente, di cui si è parlato in Vaticano dal 25 al 27 febbraio durante il workshop “Robo Ethics. Humans, machines and health”, su iniziativa della Pontificia Accademia per la Vita, nell’ambito della sua Assemblea generale 2019. Papa Francesco, rivolgendosi ai partecipanti in occasione dell’apertura dell’evento, ha messo in fila fin da subito i punti principali della discussione. “L’odierna evoluzione della capacità tecnica produce un incantamento pericoloso: invece di consegnare alla vita umana gli strumenti che ne migliorano la cura, si corre il rischio di consegnare la vita alla logica dei dispositivi che ne decidono il valore”, ha detto il Papa, spiegando che “questo rovesciamento è destinato a produrre esiti nefasti: la macchina non si limita a guidarsi da sola, ma finisce per guidare l’uomo”, riducendo così la ragione umana “a una razionalità alienata degli effetti, che non può essere considerata degna dell’uomo”. “È del resto già reale il rischio che l’uomo venga tecnologizzato, invece che la tecnica umanizzata: a cosiddette ‘macchine intelligenti’ vengono frettolosamente attribuite capacità che sono propriamente umane”, ha rincarato Francesco. “Se fino ad ora la tecnica era al servizio dell’umano, oggi il rischio è che la tecnica prenda il sopravvento e si sostituisca in qualche modo all’umano”, gli ha fatto poi eco monsignor Vincenzo Paglia, il cancelliere dell’accademia pontificia, aprendo nell’Aula Nuova del Sinodo i lavori centrati su diverse prospettive, dai diversi approcci alla ricerca e allo sviluppo in robotica alle sue implicazioni socio-antropologiche, fino alle implicazioni etiche nel rapporto tra robotica e salute.
Di tutto questo Formiche.net ne ha parlato con uno dei relatori, il sacerdote filosofo e teologo maltese Emmanuel Agius, decano della Facoltà di Teologia dell’Università di Malta e membro dell’European Group on Ethics in Science and New Technologies (Ege).
Professore, quali sono le prospettive delle riflessione teologica sul tema della robotica?
Ovviamente oggi la robotica offre una grande speranza per migliorare la vita nei settori del mercato del lavoro, della salute di anziani e bambini e nei sistemi automatizzati, di sicurezza e sorveglianza, e penso che questo sia qualcosa di positivo. Ma allo stesso tempo dovremmo essere coscienti di non focalizzare questa discussione solo sulla produttività o sull’efficienza, cioè non dovremmo focalizzarci solamente su di una prospettiva utilitaristica. Questo è il ruolo della teologia, che rappresenta un importante stakeholder nella società e in certe questioni. La teologia non è una scienza che si oppone allo sviluppo ma prende questo sviluppo e ne rilancia importanti problematiche, nell’ordine di guardarvi in una maniera interconnessa.
Qual è l’apporto che offre?
Penso che il ruolo della teologia di fronte al fenomeno della robotica e dell’intelligenza artificiale è di offrire aiuto in un ruolo integrativo, cioè di stimolo e di critica. Papa Francesco nella Laudato Sì parla dell’importanza dell’ecologia integrale, e questa ci dice di guardare alle cose non in maniera disconnessa tra loro, ma in interconnessione, per vederle in una prospettiva più ampia. E precisamente, guardare alla robotica in una prospettiva più ampia significa guardare in una maniera che vada oltre la produttività e l’efficienza. Guardando cioè il loro impatto sulla società, sulla vita individuale e familiare, sull’ambiente e molto altro.
Si tratta perciò principalmente di una questione etica, di dignità umana.
Uno dei concetti centrali della Laudato Sì, oltre all’ecologia integrale, è quello della dignità umana, fondamentale nell’integrare il pensiero tecnologico in quello teologico. Nel senso che la teologia rilancia la domanda: in che misura questo sviluppo sta aiutando o minacciando la dignità umana? Prendiamo il mercato del lavoro: è buono l’aiuto che viene dalla robotica? Sta aiutando i lavoratori a evitare impieghi pesanti, ripetitivi o monotoni? La robotica non dovrà infatti mai rimpiazzare la persona umana, perché questa ha un diritto al lavoro, e al lavoro degno.
Come sta cambiando la società di fronte alle nuove tecnologie?
L’intelligenza artificiale sta cambiando la natura del lavoro, almeno in Europa. Dove più del 40 per cento sono ora impiegati in lavori non tradizionali, come le piattaforme web e altre situazioni, che creano un problema sul versante del sistema di protezione sociale. Perché generalmente la protezione sociale veniva fatta con un contratto dei lavoratori, un modello di vecchia data e che dura per tutta la vita, dove le persone pagano tasse per realizzarlo. Con l’intelligenza artificiale e la robotica sta cambiando la natura del lavoro, e le persone si sentono meno sicure. Questo ha un impatto importante sul futuro, sul sistema di protezione sociale. Il tema è di creare un sistema di reddito di base, un punto controverso.
Sicuramente controverso, e che riguarda il panorama politico globale.
La teologia integra tutto ciò con il concetto di dignità umana, dicendo, da tempo, che i robot non devono compromettere il diritto al lavoro dei lavoratori. Di avere un lavoro degno e di ricevere protezione sociale. Abbiamo bisogno di migliorare la società e le vite degli individui, dei lavoratori, che dovranno essere continuamente rieducati, avranno bisogno di formazione per stare al passo con i cambiamenti della robotica e dell’intelligenza artificiale. Dall’altro lato, dobbiamo introdurre misure non solo per il digital divide ma anche per il robotic divide. Non solo cioè su di un piano legato alle singole persone, ma anche ai continenti.
Bisogna cioè guardare tanto ai rischi quanto alle minacce, in un’ottica che alla fine le trascenda.
La teologia presenta una prospettiva che è più ampia per guardare ai valori coinvolti. Nel settore della robotica applicata alla salute, è un bene che i robot aiutino nella cura degli anziani, sostituendo magari la cura degli uomini con quella dei robot? Compromettendo in questo modo la dignità degli anziani, con l’uso di macchine intelligenti? E non importa quando si possa copiare e riprodurre la mimica delle emozioni e dei sentimenti umani: perché non sono umani. Quindi dobbiamo distinguere e discernere ciò che significa promuovere la dignità umana e ciò che al contrario significa minacciarla. Anche in un livello globale, si solleva una questione di giustizia sociale e di bene comune.
Cioè, che cosa intende in particolare?
In quale misura questo robot sta migliorando il divide tra continenti che investono in robot e quelli che non possono investire? Si sta aiutando il capitale oppure i lavoratori e la società in generale? Queste sono le questioni a cui dobbiamo rispondere. Come anche per i temi legati alla sicurezza nei luoghi pubblici. I robot la garantiscono? E cosa succede se i robot si intromettono troppo nella vita privata delle persone sul posto di lavoro, se vengono seguite e spiate in maniera eccessiva? Dobbiamo distinguere vita lavorativa e vita familiare? Sono domande fondamentali. Come anche quella dell’uso di algoritmi per selezionare i lavoratori. Quanto è giusto che siano degli algoritmi a selezionare i lavoratori? Possono essere molto precisi nel farlo, ma dobbiamo proteggere la sicurezza, la privacy e l’autonomia degli individui.
Nei vari interventi si notava una certa differenza tra l’approccio che viene dal mondo orientale, dove gli investimenti tra l’altro sono incredibilmente più alti, e quello occidentale. Nel primo i robot vengono visti in maniera più umanizzata, al punto che lo scienziato giapponese Hiroshi Ishiguro, chiedendosi cosa è “umano”, ha affermato che per definire l’umano non si può escludere la tecnologia. Mentre dall’altro lato il professor Roberto Cingolani, dell’IIT di Genova, ha confidato di considerare i robot alla stregua di utensili, di strumento di lavoro o utili per migliorare il lavoro dell’uomo. Queste differenze sono reali e determinanti, a suo avviso? E di conseguenza, c’è bisogno di un serio dialogo?
È vero, c’è una distinzione netta tra l’approccio giapponese e quello della società occidentale, nel delineare le sfumature di ciò che è umano e ciò che non lo è. Penso che sia un problema globale, e oggi i social media possono aiutarci molto a chiarificare i concetti. Io penso che i robot stanno sempre più sfumando la distinzione tra umano e non, tra l’intelligenza della macchina e quella dell’uomo, e per questo abbiamo bisogno di una discussione su una piattaforma globale. Ma personalmente sono in completo disaccordo con la posizione del professore giapponese, quando dice che i robot non sono altro che umani più intelligenti e meccanizzati. Per me è molto più ampio il campo necessario per definire cosa è umano. Ma bisogna rispettare l’approccio dell’altro, e quello del professore giapponese, che è un approccio di scienziato. Ce n’è uno occidentale e uno orientale, uno più scientifico e uno più umanistico ed etico. Questo è il dialogo che dobbiamo avere, che deve includere tutti gli stakeholder nella società, e non solo gli scienziati. Possiamo produrre e disegnare i migliori, più efficienti e produttivi robot, ma i filosofi, i teologi, le comunità di fede e tutti gli interessati hanno il diritto di entrare nel dialogo per dare il proprio disaccordo su alcuni punti e per enfatizzarne altri. La scienza da sola non può risolvere o chiarire tutta la complessità di questo problema, dell’esistenza umana.
Ci fa un esempio specifico?
Prendiamo l’azione umana: cosa intendiamo? C’è una chiara distinzione tra l’uomo, e il suo prendere decisioni, e la macchina. Dove c’è comunque la responsabilità dell’uomo che lo produce. Quindi: si stanno costruendo robot per renderli sempre più al servizio dell’uomo, della cura degli anziani e della sicurezza pubblica? Ci sono grandi prospettive ma dobbiamo distinguere tra vere speranze e tipi. Non potremo mai considerare i robot come soggetti con una loro dignità umana propria. Nel Parlamento europeo si parla di cittadinanza per i robot. No, sono strumenti per aiutare gli uomini e la società, ma non si possono sostituire. Non possiamo dare loro dignità umana.
Anche perché si aprirebbe la prospettiva della responsabilità umana, che a quel punto verrebbe a mancare…
Questo è il punto di cui dobbiamo parlare maggiormente, la responsabilità dei produttori e non dei robot in sé.
Molto spesso in questo dibattito si innesta il tema del transumanesimo e di una nuova gnosi, dell’idea che viene da certi settori, che la macchina un giorno dovrebbe aiutare l’uomo a superare se stesso, cioè a evolversi, o meglio a involversi, in una sorta di uomo senza corpo. Lei che ne pensa di questo?
Il transumanesimo cambia la natura umana, se ne discute da un punto di vista genetico, e lo stesso per l’intelligenza artificiale, ma qui stiamo definitivamente superando il limite. Il filosofo Jürgen Habermas dice che dovremmo essere molto attenti su come usiamo la possibilità di modificare il genoma umano e di come l’intelligenza artificiale cambia la natura umana. Io penso che ci sono certi limiti oltre i quali non dobbiamo andare. Come il Papa dice nella Laudato Sì, il paradigma tecnocratico che valuta tutto da un punto di vista tecnologico sta cambiando la razionalità umana, e cosa intendiamo quando si parla di umano. Questo è l’aspetto più pericoloso che la tecnologia può portare. L’idea di costruire macchine sempre più umane è ingannevole.