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Titoli di Stato, il cordone sanitario diventa più stretto

Lo scorso settembre, su Formiche.net avvertimmo come gli altri Stati dell’Unione europea (Ue), in particolare quelli dell’unione monetaria, stessero costruendo un “cordone sanitario” per evitare di essere “contagiati” dalla politica, economia e finanza italiana. Ci si basava sulle prime reazioni della legge di Bilancio che allora stava per essere presentata in Parlamento (e di cui pertanto si conoscevano solamente le linee generali). Sappiamo come è andata. Di fronte alle critiche della Commissione europea, e dall’essere stati esclusi (o dall’esserci esclusi) dal negoziato franco-tedesco per una “unione sempre più stretta”, la legge di Bilancio è stata modificata, ed il quadro macroeconomico su cui il governo basava le proprie ipotesi è stato cambiato pensando di limitare l’isolamento dal resto d’Europa. Dopo poche settimane dal varo della legge di Bilancio, le nuove stime della Commissione europea e dell’Ufficio parlamentare di bilancio sulla crescita dell’Italia nel 2019-2021 e i dati sul crollo della produzione industriale non solo riaprono il dibattito sui tempi e la profondità della recessione in corso ma anche sul potenziale ‘contagio’ dell’Italia nei confronti dei propri partner.

Lo dice a chiare lettere il rapporto sulle consultazioni in base all’Art. IV dello statuto del Fondo monetario internazionale (Fmi), documento noto da tempo al ministero dell’Economia e delle Finanze ma reso pubblico unicamente nei giorni scorsi, dopo l’approvazione del documento da parte del Consiglio d’Amministrazione dell’Fmi (e che si può leggere sul sito del Fondo).

Il documento, redatto un paio di mesi fa, pone l’accento sull’incertezza per gli acquirenti di titoli del debito pubblico derivante dai contrasti tra le controparti del contratto di governo. Come già detto su questa testata, l’Esecutivo non è formato da due forze politiche ‘alleate’ ma da due ‘contraenti’ legati da un ‘contratto’ steso frettolosamente, ed alla presenza anche di giornalisti, diretto a sommare programmi divergenti e pieno di ambiguità; ad esempio, il paragrafo relativo alla Tav può essere letto in almeno cinque modi differenti e contrastanti. Non ha nulla a che vedere con il contratto che legava la Cdu/Csu e la Spd nel primo governo Merkel, e quello alla base dell’attuale “Grande Coalizione” nei cui allegati i due “alleati” avevano declinato i dettagli delle bozze dei principali provvedimenti.

L’avvertimento del Fondo monetario avrebbe dovuto essere un invito non solo a moderare i toni tra le controparti del contratto ma anche e soprattutto a reindirizzare le politiche con l’obiettivo di migliorare la produttività e le probabilità di crescita. Invece, ma mano che si avvicinano le elezioni europee, i ‘contraenti’ divenuti concorrenti sono in aperta polemica tra di loro. E’ soprattutto il M5S (in forte caduta nei sondaggi – come ha ammesso lo stesso Presidente del Consiglio Conte, a Davos, in un ‘fuori onda’ con la Cancelliera Merkel) a fare a chi la spara più grossa, urtando pure i nostri alleati tradizionali e squalificando i due Ministri ‘tecnici’ rimasti in sella- quello agli Affari Esteri ed alla Cooperazione Internazionale e quello all’Economia- proprio in materia dei loro dicasteri.

Già Francia e Germania ci hanno escluso dal Trattato di Acquisgrana, vero e proprio pilastro Ue dei maggiori Stati fondatori, per che non sanno con chi si può interloquire a Roma e chi vuole e può mantenere la parola data (le vicende Tav ci hanno dato la fama di inaffidabili a livello internazionale ed un effetto analogo hanno fatto i sorrisi tranquillizzanti e le cifre – senza alcun supporto econometrico – che di tanto in tanto il ministro Tria, in Europa soprannominato, a torto o a ragione, l’ultimo dei Moicani. La Francia, poi, si sfila dalla piccola intesa Conte sui migranti di Sea Watch e forse anche da una possibile partecipazione dall’ennesimo salvataggio di Alitalia. Per non parlare della Tav: il rapporto non richiesto è stato accolto a sberleffi e sottolineando con la matita rossa i molteplici errori che ci sarebbero – anche per alzare il prezzo di eventuali compensazione. Non meglio i nostri amici del Club Med (Portogallo e Spagna) le cui economie vanno molto bene, sghignazzano sui problemi e sulle incertezze della nostra.

Come si è già anticipato in settembre, l’Ue risponde con forti No ad alcune richieste fatte dallo stesso ministro italiano dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria, quali quella di scorporare, a fini contabili, la spesa per investimenti pubblici dalla regola per il disavanzo (la cosiddetta Golden Rule). Inoltre, ci si pone su posizioni nettamente contrapposte a quelle, oltre che di Tria, dell’ex ministro agli Affari Europei Paolo Savona in materia di determinanti che hanno portato al solido eccedente della bilancia commerciale tedesca; vengono citate serie storiche sulla produttività per dimostrare che chi è più produttivo esporta meglio e che chi non ha riorganizzato il proprio modo di lavorare e produrre quando è stata creata l’unione economica e monetaria non deve “fare la lagna” ma attuare le necessarie riforme. Infine, un’altra secca risposta alla richiesta di completamento dell’unione bancaria con una garanzia comune ai conto correnti inferiori ai 100mila euro: se ne riparlerà quando tutti i grandi Paesi Ue (a chi ci si riferisce?) avranno fatto pulizia dei loro non performing loans.

Il vero cordone sanitario, però, è nella riduzione di acquisti di titoli di Stato italiani: da maggio scorso stanno diminuendo. Ciò causa un aumento dei tassi e dello spread, finanziamenti più cari a imprese e a privati, un freno alla produzione, una crescita del debito pubblico e del suo rapporto con il Pil. Con tutte le implicazioni che si possono immaginare.

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