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Ecco come è diventata internazionale la crisi in Venezuela. L’analisi di Hernández

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Il mondo ha gli occhi puntati sul Venezuela. La crisi politica e istituzionale del Paese non si limita allo scontro tra le forze del governo socialista di Nicolás Maduro e l’opposizione interna. Ora sembrano essere entrati in scena tutti i protagonisti internazionali. Dagli Stati Uniti all’Argentina; dall’Unione europea alla Corea del Nord; ogni giorno qualche governo esprime solidarietà per il regime chavista o il governo ad interim di Juan Guaidó.

Per il sociologo e analista venezuelano Tulio Hernández, esiliato in Colombia per minacce da parte del regime di Maduro, l’angoscia principale dei venezuelani in questo momento è intuire che la risoluzione del conflitto non è nelle loro mani: “Ci è sfuggita, ma ci è sfuggita non perché – come vogliono alcuni semplificare – adesso si tratta di uno scontro classico tra le strategie internazionali degli Stati Uniti, opprimendo i progetti rivoluzionari dei popoli. No, quello è falso. Chi ha aperto le porte a che il conflitto venezuelano diventasse internazionale è stato Hugo Chávez”.

Il desiderio dell’ex presidente di trasformarsi in un leader dell’anti-imperialismo americano, esportare il modello politico del socialismo del XXI secolo e controllare la società venezuelana hanno introdotto nella vita politica del Venezuela una quantità di attori stranieri.

Hernández spiega come “Chávez portò da Cuba 20mila medici, professori, militari e polizia, impegnati in un lavoro schiavista repressivo della società venezuelana. Dopo prestò il nostro territorio perché potessero operare liberamente a Hezbollah, Al Qaeda, Farc ed Eln, trasformando il Venezuela in una minaccia per la stabilità della regione e per la sicurezza delle democrazie di Occidente”. A seguito il Venezuela è diventata la piattaforma di una delle più grandi reti di traffico illecito di droghe, riciclaggio di denaro e corruzione.

“Prima Hugo Chávez e dopo Nicolás Maduro – ha aggiunto il sociologo – consegnarono a Russia, Cina e Iran le grandi riserve di petrolio, oro e coltan che hanno finito di trasformare il Venezuela in una minaccia per l’Occidente”. Così l’opposizione venezuelana si è indirizzata verso l’internazionalizzazione del conflitto: “Una volta che i leader si sono resi conto che non aveva più senso fare politica in maniera tradizionale – perché la democrazia era finita – si sono rivolti all’appoggio dei Paesi democratici e delle organizzazioni internazionali come l’Organizzazione di Stati Americani, le Nazioni Unite, la Corte interamericana di diritti umani”.

Tra le richieste rivolte alla comunità internazionale c’erano gli aiuti umanitari, il ripristino dell’ordine democratico e la liberazione del sequestro da parte delle forze armate per garantire il potere a Maduro.

“I governi – come capita nelle vicende diplomatiche – non potevano reagire velocemente. Si sono presi il loro tempo. Fino a quando Nicolás Maduro ha sentenziato: non riconoscere il Parlamento, creando un’istituzione parallela chiamata Assemblea Nazionale Costituente. Così ha oltrepassato la linea che Chávez non ha mai voluto superare”, spiega Hernández. Chávez si era sempre tenuto in quello schema chiamato dall’analista “neo-totalitarismo”, cercando di controllare la società come in una dittatura, ma senza togliersi la maschera democratica.

“Adesso è in gioco un mondo diviso tra due parti – sostiene Hernández – le società democratiche di Occidente contro le dittature e le teocrazie di Oriente (Russia, Cina, Iran e Bielorussia). In mezzo un gruppo ambiguo, come Messico e Uruguay, che non sostengono apertamente Maduro, ma per motivi ideologici non vogliono allinearsi con gli Usa. Così questa guerra è da una parte Guaidó, con il sostengo delle masse in piazza e delle democrazie nel pianeta, Maduro con l’appoggio dei militari e della parte più oscura del pianeta”.

La novità – e anche la speranza – è che ora la resistenza democratica venezuelana conta con un’unità di azione, con un unico leader e con un piano strategico a lungo periodo: “Non abbiamo più la disperazione per pensare che tutto accadrà da un giorno all’altro. Quindi, credo che dobbiamo stare sereni. Per la prima volta in 20 anni abbiamo un progetto alternativo nel quale fondamentale è impedire che la risoluzione del conflitto la facciano le forze straniere. È il momento – purtroppo – dei militari. Se capiscono cosa hanno tra le mani, se Maduro capisce che non è più presidente del Venezuela, se si apre il cammino verso nuove elezioni, potremmo diventare come il Portogallo, un Paese che è riuscito a risolvere il proprio problema senza spargimento di sangue”.

L’intervento degli Stati Uniti, secondo l’analista, lascerebbe una traccia triste nella storia del Paese, imponendo il confronto con l’esempio dell’Iraq, Afghanistan, Cile, Granada e Repubblica Dominicana. Il caso venezuelano “non è una lotta tra gli Usa e un progetto rivoluzionario, ma un’alleanza tra Paesi molto simile a quella della Seconda guerra mondiale contro la barbarie di Hitler. Questa è un’alleanza della libertà conto la pazzia tirannica di una minoranza civico-militare, innamorata di un passato che non ha futuro”.

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