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Albania e fisco, un sistema sbilanciato verso ricchi e stranieri

Di Francesco Giuliani
albania

Pubblichiamo uno stralcio dell’intervento di Francesco Giuliani (avvocato tributarista, partner Studio Fantozzi e Associati) contenuto nell’e-book “Albania Una e 2019. Doing Business Guide” (ed. The Skill Press, 9,99 euro), scritto da Andrea Camaiora e disponibile su Amazon.

Le ragioni delle violenti proteste in corso in Albania non vanno rintracciate soltanto nelle accuse di corruzione mosse nei confronti della classe politica, ma anche nelle profonde disuguaglianze economiche e sociali vissute dalla popolazione. In questo senso, c’è un fattore scatenante che sembra non aver ricevuto l’adeguata attenzione da parte degli organi di informazione stranieri e in particolare italiani, vale a dire il forte sbilanciamento dell’attuale sistema fiscale albanese a favore di ricchi e stranieri.

L’Albania è un Paese in forte crescita economica: ha un Pil che, da anni, è stabilmente più che positivo (+3,7% nel 2017), ha un tasso di disoccupazione sceso fino al 13,4% e un bilancio dello Stato sostanzialmente in pareggio. Tutto ciò grazie a una tassazione molto conveniente per tutti coloro che, dall’estero, vogliono investire nel piccolo Paese balcanico. Da una prima analisi del sistema fiscale albanese, così come a oggi è concepito, emerge chiaramente la tendenza del governo albanese a voler creare condizioni favorevoli unicamente per gli imprenditori, i professionisti e le società, che vengono assoggettati ad un’imposizione diretta massima del 15%, anziché a quella massima del 23% stabilita per i lavoratori dipendenti (che, al contrario dei primi soggetti, percepiscono notoriamente redditi molto più bassi).

In un sistema-paese efficiente, la riportata discrasia dovrebbe essere corretta attraverso il ricorso al generale principio della capacità contributiva (in Italia desumibile in via diretta dall’art. 53 della Costituzione italiana, riconducibile però al più generale principio di uguaglianza sostanziale e dunque, in linea di massima, principio “universale”), al fine di spostare il “peso” nel reparto della pressione fiscale (invero, comunque, molto bassa) maggiormente in capo a coloro che producono redditi di notevole entità (introducendo ad esempio un sistema con almeno due aliquote, o perlomeno un contributo di solidarietà oltre una certa soglia, ridistribuendo magari il gettito con una riduzione dell’aliquota per i lavoratori dipendenti).

Accanto a tale inversione di tendenza, per continuare a favorire la crescita economica, si dovrebbe poi mantenere una forte incentivazione fiscale, in termini di sgravi, nei confronti di quei soggetti che intendono investire in Albania, focalizzando l’impiego di risorse verso settori ad alto valore aggiunto e forieri di una evoluzione dello Stato nel senso di una maggiore efficienza: ricerca e sviluppo, produzione di energie rinnovabili e formazione di personale altamente qualificato. Sarebbe, poi, molto importante investire nella digitalizzazione della pubblica amministrazione nei rapporti con i cittadini (prevedendo, ad esempio, la fatturazione elettronica o l’espletamento di adempimenti burocratici con modalità telematiche), oppure favorire lo sviluppo di tutte quelle opere di infrastrutturazione materiale ed immateriale di rilevanza pubblica in settori strategici per lo Stato (quali sanità, istruzione, trasporti, infrastrutture, sistema welfare, ecc…).

Da ultimo, ma non per importanza, l’Albania dovrebbe puntare a valorizzare il suo vero punto di forza: il territorio. Ben vengano, sotto questo aspetto, gli incentivi fiscali volti ad implementare il turismo o gli investimenti nel settore agricolo di qualità, ma essi devono riguardare non solo le strutture di “lusso”, bensì anche quelle più “modeste” ed accessibili ad un pubblico meno pretenzioso. In tal modo, lasciando inalterata la già bassa pressione fiscale, l’Albania non rappresenterebbe più un Paese “su misura” per soli stranieri o, in generale, persone molto abbienti.

L’Albania si tramuterebbe, infatti, in uno Stato che favorisce la crescita economica di tutte le classi sociali. Si creerebbe, così, un tessuto economico fatto di grandi, piccole e medie imprese ed una “classe media” in grado di portare un notevole giovamento all’intera economia del piccolo Paese balcanico.

 


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