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Autonomie, Tav e salario minimo. Come M5S porta via voti alla Lega

M5s, vitalizi

Tra la Lega ed il Movimento Cinque Stelle (M5S) non c’è un’alleanza ma un contratto, un po’ come quelli tra condomini che hanno idee ben differenti su come gestire lo stabile. Questa la principale ragione delle continue frizioni e liti. Nel contratto iniziale, il M5S aveva la buona perché era riuscito a farsi dare molte deleghe da altri condomini poco interessati ad una partecipazione attiva alle assemblee condominiali. Ora le previsioni dicono che alla prossima assemblea straordinaria (indetta a fine maggio), la situazione delle deleghe sta cambiando: in aumento rapido quelle della Lega ed in contrazione quelle del M5S. Per quest’ultimo, ai fini della stabilità del contratto, il problema chiave è non solo mantenere un pugno adeguato di millesimi per avere peso nell’assemblea ma di frenare l’apparentemente irresistibile azione della Lega nell’accaparramento di deleghe. Il M5S pensa, ovviamente, che le deleghe volanti debbano finire nelle sue tasche  basta che – faute de mieux – non vadano alla Lega. Ha varie armi a questo fine. Le quattro principali sono la Tav, le pensioni, le autonomie differenziate e la proposta di legge sul salario minimo.

In materia di Tav, questa testata ha già spiegato che il finto rinvio per una finta trattativa con Francia ed Ue ha già dato i suoi risultati. Secondo Arnaldo Ferrari Nasi, sociologo e sondaggista, in quel lombardo-veneto dove il 4 marzo scorso il partito di Salvini ottenne il 40%, si è passati oggi nelle intenzioni di voto al 33%. È un chiaro effetto della delusione di quella classe popolare tipicamente leghista fatta di lavoratori e imprenditori che è scontenta della mancanza di serie politiche economiche da parte del governo, Tav inclusa. Il trend in ascesa della Lega non si ferma a livello nazionale, continua ad andare avanti ma diminuisce nel lombardo-veneto. Quelli che voltano le spalle a Salvini (in seguito alle non-decisioni apparenti sulla Tav) sono gli italiani produttivi, propensi a votare Lega, dai 35 ai 55 anni, religiosi, lavoratori, non laureati, cultura media.

Più insidiosa la mossa del M5S sulle pensioni. Il M5S si è assicurato il controllo dell’Inps da dove non è ancora uscita la circolare sul raffreddamento dell’indicizzazione (al costo della vita) ed il taglio (nelle guise di contributo di solidarietà) alle cosiddette pensioni d’oro. Il timing è tale perché le pensioni vengano ridotte cumulativamente per quattro mesi nei trattamenti in arrivo il primo maggio. Mossa diabolica per incidere, in maniera pesante, sugli elettori della Lega proprio prima delle elezioni. Per le pensioni sui 2500 euro lordi, il taglio sarà di 43,94 euro l’anno, per 36 mesi=131,82 euro nel triennio 2019-2021 e si cumulerà a quelli degli anni precedenti per un totale di 590,34. Anche se il trattamento in pagamento a marzo esporrà una riduzione di una quindicina di euro, i pensionati sanno bene fare i conti e vedere come nel futuro la scure incide sul loro reddito. Ovviamente quanto più aumenta la pensione, tanto più forte è il taglio. Ad esempio, per quelle sui 3.400 euro lordi, il taglio sarà di 179,53 euro/anno, per 3 anni=538,59 si cumuleranno a quelli degli anni precedenti, per un danno totale di euro 2.592,98. E via discorrendo. Anche prima di giungere al contributo di solidarietà. Ancora una volta si colpiscono gli italiani produttivi, propensi a votare Lega, dai 35 ai 55 anni, religiosi, lavoratori, non laureati, cultura media. Lo scopo evidente è spostare voti dalla Lega ad altri (quali che siano). L’associazione Leonida sta promuovendo centomila ricorsi.

L’altro punto è il progetto delle “autonomie differenziate” promosso dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia Romagna, a cui si è accodata la Campania. È un progetto complesso con complicati profili giuridici anche costituzionali. Il M5S non ne sta certo facilitando una discussione rapida: l’obiettivo è arrivare ai nastri di partenza mostrando agli elettori della Lega che è su un binario morto e che se vogliono farlo proseguire devono cambiare cavallo.

Infine, il salario minimo. Non solo verrebbe fissato a livelli troppo elevati per gran parte delle piccole e medie aziende – il tessuto delle aree dove la Lega raccoglie più voti – ma scardina quella contrattazione aziendale che è parte del Dna dell’elettore della Lega.


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