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Avviso invece che bando? Ma quale trucco giuridico, sulla Tav è pura politica

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Con l’adozione del Regolamento 1315/2013, e la sottoscrizione del successivo Grant Agreement sul corridoio Mediterraneo, gli Stati membri si sono vincolati a realizzare il corridoio Mediterraneo, che ha l’obbiettivo di garantire un collegamento stabile, a sud delle Alpi, tra l’Europa Occidentale e quella centro-orientale, della Spagna all’Ungheria fino al confine con l’Ucraina. Dunque il tratto tra Torino e Lione è solo un “pezzettino” del corridoio.

Il successivo Regolamento 1316/2013 disciplina la contribuzione europea, ossia il cofinanziamento, delle opere incluse nel corridoio. Vi sono, pertanto due chiare obbligazioni giuridiche a cui gli Stati membri sono vincolati:

1) La realizzazione delle opere entro il 2030 con un chiaro divieto (ex art. 7 Reg. 1315/2013) di porre in essere condotte dilatorie, anche in virtù dell’obbligo di leale cooperazione di cui all’art. 4 Tue
2) Il rispetto delle regole finanziarie per poter fruire del cofinanziamento europeo ex Reg. 1316/2013. Le conseguenze più gravi si verificano in caso di mancato rispetto della prima obbligazione: la realizzazione delle opere incuse nel corridoio, tra cui la Torino – Lione. Infatti il rischio vero, oltre ad una responsabilità nei confronti delle imprese che avevano fatto affidamento economico sulla realizzazione dell’opera, è provocare un cambio di strategia dell’Unione, con riforma del Regolamento 1315/2013 e lo spostamento più a nord della tratta del corridoio non realizzata a totale beneficio degli altri Stati, tanto che la Svizzera si sta già organizzando con un suo piano di investimenti autonomi (senza che nessuno la vincoli) per essere pronta a cogliere l’eventuale opportunità lasciata sul piatto dall’Italia.

Ma l’attenzione di questi giorni è posta sullo scambio di lettere tra il presidente del Consiglio e la società Telt, incaricata di eseguire l’opera Torino–Lione, sulla base del Grant Agreement. È bene premettere che per il diritto dell’Unione europea, a differenza del diritto nazionale, ciò che contano sono i concetti e non le parole (proprio perché è diritto “multilingua”). Non si pensi, quindi, che possa avere una concreta rilevanza giuridica l’utilizzo della parola avviso in luogo della parola bando.

Va, inoltre, specificato che la c.d. clausola di dissolvenza, cioè il diritto per la stazione appaltante di non affidare l’appalto è una consuetudine presente praticamente in tutte le procedure di affidamento. Quindi, nessuna novità. Ecco cosa è accaduto:

a) la Commissione europea, attraverso l’Inea, aveva obbligato a cominciare le procedure di affidamento entro il mese di marzo, come previsto nel Grant agreement;
b) Il presidente Conte chiede di non pubblicare i bandi alla società Telt;
c) Secondo il consiglio di amministrazione di Telt, non vi è notizia di alcun atto “giuridicamente rilevante,, ossia che permetta di non ottemperare agli obblighi dei Regolamenti 1315/2013 e 1316/2013, e quindi di non cominciare le procedure di affidamento;
d) in assenza di altri atti, la società Telt deve adempiere al Grant Agreement oggi vigente e, quindi, il consiglio di amministrazione ha autorizzato la pubblicazione degli avvisi a presentare candidature.
e) Come sempre accade, TELT, in quanto stazione appaltante, può decidere di non affidare l’appalto ad alcuno dei soggetti candidati.

Una normalissima procedura, nel quadro del Grant Agreement e della Direttiva 24/2014/UE, che dà avvio all’aggiudicazione dei lavori. Si badi bene che in questo caso non trova applicazione il diritto nazionale con le sue distinzioni semantiche: che sia un avviso o che sia un bando, la procedura è cominciata. Se, invece, si volesse sostenere che la pubblicazione dell’avviso non coincide l’avvio della procedura di affidamento dei lavori, in quanto, sarebbe una semplice analisi di mercato, ciò significherebbe che Telt avrebbe violato il Grant Agreement così come la Repubblica Italiana, attraverso la lettera del presidente del Consiglio, avrebbe violato l’art. 4 del TUE. Quali conseguenze? Due.

1) Ciò significherebbe non ottemperare alla richiesta dell’INEA (Agenzia che regola il co-finanziamento) di cominciare le procedure di affidamento entro marzo, basata sul Regolamento 1316/2013, e perdere i primi 300 milioni di euro.
2) Oltre ad esporre l’Italia ad una responsabilità per violazione del diritto europeo, l’Unione sarebbe pienamente legittimata a cercare alternative per completare il corridoio Mediterraneo senza passare dall’Italia e cercare accordi con altri Stati (Svizzera e Germania in primis che hanno già manifestato interesse a modificare la tratta).

È allora possibile che un professore di diritto e un consiglio di amministrazione di rilievo internazionale si siano personalmente esposti ad una così evidente violazione di norme molto chiare oppure, semplicemente, la pubblicazione dell’avviso in luogo del bando, non avendo alcuna rilevanza giuridica, è solo una “supercazzola” politica, e non un trucco giuridico, per confondere gli elettori?

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