Una conferenza stampa per ribadire che la Tav non s’ha da fare. Luigi Di Maio si prende la scena con una conferenza a Palazzo Chigi per chiarire il pensiero del Movimento 5 Stelle. Lancia un messaggio a Salvini dicendosi “interdetto” che il leader del Carroccio abbia messo in discussione la tenuta del governo sull’opera della discordia, ma soprattutto aveva la necessità di dare un segnale di presenza e forza alle sue truppe parlamentari. Stretto ormai, il capo politico M5s, nella morsa del doppio ruolo: quella di vicepremier e di leader di partito. Di Maio ha convocato una conferenza stampa e ha voluto subito rispondere a stretto giro a Salvini dopo che il leader leghista aveva chiesto una moratoria al dibattito chiedendo di riparlarne lunedì. È solo venerdì, ma sembra appena iniziato un weekend di fuochi (e veti) incrociati.
In fondo – al di là delle bordate di rito – nessuno dei due contractor ha molta voglia di creare una crisi di governo prima delle elezioni europee. Eppure entrambe le parti hanno tirato fin troppo la corda non mettendo nel conto un punto di rottura inevitabile. Salvini, incalzato dai suoi vecchi alleati del centrodestra e dallo zoccolo duro dell’elettorato del Carroccio, non può indietreggiare per non perdere voti quando ormai mancano appena due mesi al voto europeo. Ma le difficoltà maggiori restano in capo a di Di Maio, le cui truppe parlamentari lo accusano di eccessiva accondiscendenza nei confronti della Lega. Una vicinanza alle storiche tematiche della Lega che pure, in fin dei conti, è stata ampiamente digerita dall’elettorato grillino come confermato dalla piattaforma Rousseau che ha votato per il No al processo a Salvini sul caso Diciotti. Più problematico è il rapporto tra il capo politico M5s con i suoi gruppi parlamentari. Inasprimento delle leggi sui migranti, caso Ilva, Tap e, da ultima, la norma sulla legittima difesa, hanno lasciato il segno negli ultimi mesi e tracciato una distanza tra il leader e una parte dei suoi parlamentari. Lo ha messo in chiaro, Di Maio, nel corso della conferenza stampa: “Cosa poteva accadere – ha detto – se avessi messo in discussione la legittima difesa che non ho fatto e non farò, o il decreto sicurezza e altri provvedimenti che allora quando abbiamo scritto questo bellissimo atto di governo sono entrati in quota Lega? Vi sareste arrabbiati ed è per questo che c’è un certo disappunto nel Movimento, perché ci siamo battuti per mettere nel contratto questo”.
Forse il vicepremier paga persino colpe superiori a quelle che effettivamente ha: da un lato ha dovuto seguire ogni dossier nell’impeto di un’agenda-setting più subita che dettata, dall’altro se le sue stesse pattuglie di Camera e Senato lo accusano, talvolta delle critiche sono anche dettate da convenienze personali nella speranza di detronizzare Di Maio per togliergli lo scettro del Movimento. Un nodo che, presto o tardi, verrà a galla.
Sia Salvini che Di Maio hanno giocato una partita, quella sulla Tav, non mettendo nel conto la sconfitta. Una sconfitta che oggi, probabilmente potrebbe permettersi elettoralmente solo Salvini, non Di Maio, divenuto bersaglio del fuoco nemico, ma anche di quello amico. Purtroppo chi sicuramente non può consentirsi di perdere un’ulteriore occasione è fatalmente il Paese. A pagare, al di là delle sorti elettorali dei due leader della maggioranza, sembra essere l’Italia che avrebbe un bisogno disperato di infrastrutture e investimenti per tornare a crescere. L’asso nella manica di Salvini resta il referendum, mentre quella di Di Maio – contando nel cambio di governance del Pd – potrebbe essere quella di minacciare nuovi assetti parlamentari per costituire nuove maggioranze. Resterebbe però una carta debole. Entrambi i leader sembrano essersi cacciati in un tunnel. E a nulla vale che quello della Tav ancora non c’è e forse mai ci sarà.