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Case, negozi, feste, musei. Perchè chiudere, perchè aprire.

Il tema delle festività (come dall’infografica Corsera di oggi: la chiusura per “otto nazionali” e “quattro regionali”, per i negozi sopra i 400 metri quadrati) mi appare fragile e forse superato da un miglior rispetto verso l’altro (le religioni, le tante minoranze, le donne e gli uomini coi loro bisogni in altri “giorni di riposo”, col desiderio di “partenze intelligenti”) e la doverosa internazionalizzazione. Per esempio, la Rinascente, che a differenza di altri nasce in centro, è superiore ai 400? Un invito a costruire i prossimi di 399 metri quadri?

Questo tema dovrebbe sempre essere accompagnato al tema delle aperture.
A fronte di un centro commerciale chiuso, chi si sta infatti preoccupando di tenere aperte biblioteche e musei pubblici?

Questo desiderio di costringere tutti a festeggiare, a casa propria, l’ho trovato sempre insopportabile.
Così come l’andare a fare la spesa la domenica mattina.
Intendiamoci. Equamente.
Vorrei, da tanti anni, e quindi in molti stadi diversi della vita, che ci preoccupassimo di migliorare l’offerta.

Era una mia richiesta da rappresentante degli studenti. E rimane uguale, negli anni, è la richiesta di tutte le generazioni. Era di Franco Ferrarotti, e ancora dei ragazzi di oggi, i “nativi digitali”. Me lo ha confermato proprio il Rettore dell’Università Statale, Elio Franzini, quanche settimana fa mentre chiacchieravamo per il prossimo libro. I luoghi, quelli che i fondi pubblici neanche finanziano agli Atenei, sono ancora la priorità. E riaprirà dopo trent’anni la sala B per studiare insieme. Perchè l’Università, che per fortuna non è più di elite, ha visto in “massa” occupare con la didattica ogni spazio, del tutto insufficiente. Rinunciando. Ma le valutazioni internazionali conteggiano le nostre rinunce. In termini di punteggi, penalizzazioni, classifiche (che pure scaliamo su tanti altri meriti, e quindi che peccato).

Tutto il modello italiano gira intorno alla casa. Nel bene e nel male. È lì che si consumano tragedie familiari, abusi, violenze, incidenti. Tra le quattro mura si è realizzato un mondo maschilista. La parità di genere è una lenta consapevolezza. È la mentalità, quella che si cambia più facilmente insieme agli altri. E anche le opportunità e le diseguaglianze ci guadagnano se non restiamo imprigionati/e dentro i nostri palazzi e villini, tra le crepe e le fragilità fatte di calce struzzo e abitudini.

Chi poi resta al bar, con le macchinette infernali. E per fortuna tornano i biliardini. Arrivano i libri alle pareti.
Aprono luoghi magici come Open a Milano o Portineria 14.

Dopo aver accennato all’aspetto sociale veniamo al tema della contrattazione che sappia innovare. Perchè va sicuramente indirizzata e orientata. Innanzittuto superato un totale di ore di straordinari quelle in più, già conteggiabili facilmente sulla base del numero di dipendenti e di aperture previste, vanno coperte da personale extra, garantendo anche una boccata d’ossigeno non solo ai dipendenti ma anche a chi un lavoro non ce l’ha o facilitando la vita agli studenti lavoratori.

Non tutto il lavoro deve essere stabile. In alcuni momenti della nostra vita sono utili lavori temporanei, persino, estemporanei. Lo sanno quanti praticano in nero. Una fetta che va riportata nella legalità. Per dar loro, e a noi, maggiori tutele, non tanto per tassarli.
Si potrebbe pensare al contratto del tipo Job Sharing che praticano nelle aziende di Luxottica.

La proposta delle associazioni per il commercio, al governo, sulle aperture notturne, con libertà per tutti, e nessun vincolo su festività e domeniche per i negozi sotto i 400 metri quadrati, denota un desiderio di far tornare a vivere le città. Rispondere meglio a domanda e offerta, alle capacità attrattive. Partiamo da questo.

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