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Non solo Cina, l’Italia sia un hub plurale per l’attrazione degli investimenti. Parola di Paganetto

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“La Cina è una grande scommessa e il memorandum che si firmerà a giorni è positivo ma a condizione che poi riusciamo ad attrarre investimenti da altre grandi economie. L’Italia è un topolino, in questo senso, e non deve farsi fagocitare ma puntare sempre su innovazione e crescita, altrimenti non ne usciamo”. A parlare è Luigi Paganetto, professore emerito dell’Università Tor Vergata e vice presidente di Cassa Depositi e Prestiti. “L’importante – dice a Formiche.net – è avere una pluralità di paesi investitori, sarebbe un errore quello di schiacciarci solo sulla Cina. Sono favorevole in questo mondo globalizzato all’attrazione degli investimenti esteri che aiutano a far crescere economie come la nostra, ma sarebbe sbagliato privilegiare un solo attore, bisogna necessariamente allargare il campo”.

La critica maggiore rivolta al governo è di aver sbagliato a cercare di negoziare da soli la Cina, forse era meglio un accordo a livello europeo…

L’Unione Europea è senz’altro fondamentale ma abbiamo bisogno che sia presente nella global governance internazionale come un attore unico, questo ancora non c’è perché gli stati membri tendono ciascuno a tirare, diciamo così, l’acqua al proprio mulino. Serve una voce unica dei 28 paesi nei consessi internazionali solo così si riesce a negoziare con potenze come la Cina o gli Stati Uniti che, non a caso, sulle tematiche commerciali si muovo all’unisono. Questo conta molto quando si vuole dettare l’agenda, ad esempio.

Molti osservatori temono anche la cessione di asset importanti, a partire dalla questione dei porti: l’Italia come un cavallo di Troia per permettere ai cinesi di penetrare in Europa. Lei che ne pensa?

Penso che bisogna associare ad una politica sulla logistica una politica attenta alla “catena del valore”. Cosa voglio dire? I porti sono importanti ma se poi mancano le infrastrutture le merci rischiano di fermarsi nei nostri molli, a Napoli come a Genova e Trieste. Autostrade, ferrovie, opere pubbliche sono più che mai importanti, lo sblocca cantieri riuscirebbe a mobilitare risorse già stanziate per oltre 35 miliardi di euro. E poi la logistica deve essere accompagnata anche alla lavorazione della trasformazione dei beni intermedi altrimenti non c’è valore aggiunto, diventiamo solo l’approdo delle merci e tutto finisce lì. E ricordiamoci che noi siamo essenzialmente un paese che vive di import e di trasformazione delle materie prime.

Intanto i dati di Sace Simest rivelano che noi esportiamo appena 13 miliardi di euro mentre importiamo per 30 miliardi e c’è il rischio che questo disavanzo aumenti…

Questi accordi che verranno firmati possono essere senz’altro utili ad un riequilibrio dei rapporti commerciali. Ciò che è importante è che le nostre imprese puntino con decisione sull’innovazione, sulla tecnologia che poi sono gli elementi che oggi servono ad essere players negli scambi commerciali. Per intenderci, la Cina non è più solo la fabbrica del mondo ma è una potenza che ha puntato soprattutto sull’innovazione tecnologica. Ero a Nanchino come professore ed ho visto con i miei occhi come questa area del paese si sia trasformata da zona rurale a polo d’eccellenza tecnologico. Per intenderci con un esempio: la Cina non più t-shirt e scarpe a basso costo è un colosso delle telecomunicazioni come Huawei con il quale domina il mondo. La Cina e gli Stati Uniti sono in combutta proprio su questo, su chi è il vero leder dell’innovazione.

E come Cassa Depositi e Prestiti quindi per lei la Cina è un’opportunità o una minaccia?

Credo che sia un’opportunità ma che va gestita e incanalata nella maniera giusta. Noi come Cdp ci muoviamo in questa direzione, cerchiamo di valorizzare le imprese che innovano e puntano sulla strada dell’internazionalizzazione. In un mondo sempre più globalizzato o segui questo indirizzo di modernizzazione o altrimenti rischi di essere schiacciato e, proprio per questo, è un bene che gli investimenti cinesi arrivino anche in Italia ma non solo quelli, serve una pluralità di investitori, una diversificazione che è solo utile alla nostra economia.

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