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Conte corre al Copasir per riferire sul 5G made in Cina

Dopo il ‘warning’ americano, il Copasir – il Comitato parlamentare di vigilanza sull’intelligence – si appresta ad approfondire il delicato dossier 5G col governo. Per questo domani il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sarà sentito dall’organismo presieduto da Lorenzo Guerini. Al centro dell’audizione ci saranno – come già riportato da Formiche.net – i contorni dell’intesa con Huawei e la posizione dell’Italia in relazione allo sviluppo delle reti superveloci di nuova generazione, ma è probabile che salti fuori anche la questione dell’adesione di Roma al memorandum sulla Belt and Road Initiative della Cina.

I DOSSIER ITALIA-CINA

Entrambi i dossier sono, con sfumature diverse, da tempo all’attenzione dei servizi segreti, che dei rischi connessi alla pervasività dell’elemento tecnologico e dei risvolti del progetto infrastrutturale e politico per collegare Pechino all’Eurasia hanno parlato anche nell’ultima relazione del Dis al Parlamento, presentata a fine febbraio dai vertici del dipartimento alla presenza dello stesso Conte (che ha, tra l’altro, la delega al’intelligence). Tutti i suggerimenti, negli anni, non sembrano però aver trovato ascolto dagli esecutivi che si sono succeduti e lo stesso pare accadere oggi.

IL CASO HUAWEI

Per quanto concerne nello specifico il tema 5G, gli Usa hanno più volte lanciato moniti ai loro alleati su questo dossier, l’ultimo dei quali giunto dal segretario di Stato Mike Pompeo, che in una intervista a Fox Business Network ha ribadito che Washington potrebbe non condividere più informazioni con gli Stati (soprattutto quelli che ospitano basi Nato, come l’Italia) che adotteranno tecnologia della compagnia di Shenzhen per l’implementazione della loro rete 5G.
Nonostante questi allarmi, un mese fa il Mise ha smentito l’intenzione di precludere alle aziende cinesi lo sviluppo della nuova tecnologia in Italia avvalendosi del golden power. Una posizione che, in questo caso, sembra prevalentemente del Movimento 5 Stelle, dal momento che la Lega ha presentato in Commissione Trasporti attraverso il suo deputato Massimiliano Capitanio un’interrogazione al vice presidente del Consiglio e ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio su WiFi-Italia, un altro progetto di connettività che vede coinvolta Huawei. E sempre il Carroccio, attraverso il suo sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, ha spiegato che “è necessaria una profonda riflessione sulla sicurezza delle nostre infrastrutture critiche. La nostra posizione non è di condanna preventiva”, ha aggiunto”, “ma di un monitoraggio che ora entra nel vivo. Non possiamo tollerare anomalie nella gestione dei dati dei cittadini e delle aziende italiane, né tantomeno l’interferenza di una potenza straniera, qualunque essa sia, nel nostro sistema Paese”.

LA POSIZIONE DI CONTE

Conte, intervenuto al recente Festival di Limes, ha espresso una posizione prudente. “Huawei e Zte”, ha detto, “operano già da anni anche in Italia, sono integrate con i nostri operatori del settore delle info-telecomunicazioni. Io sono responsabile dell’intelligence, ho conservato la delega, quindi seguo questo comparto: posso dire che esiste un problema di sicurezza informatica, esiste senz’altro”. Poi ha rimarcato: “Zte è una società di Stato, Huawei non è propriamente statale ma bisogna tenere conto – ha osservato Conte – delle peculiarità di quel contesto”. Pertanto, “dobbiamo adottare tutte le cautele e stiamo lavorando in questa direzione”.

LA SCELTA ITALIANA

Parole che, secondo alcuni osservatori, lascerebbero intendere che Palazzo Chigi potrebbe stare pensando a una soluzione che non fermi del tutto le attività delle telco del Paese del Dragone sul 5G (una scelta sulla quale sembrano convergere le nazioni che fanno parte della stretta alleanza anglofona di intelligence sharing dei Five Eyes), ma piuttosto a un orientamento simile a quello adottato da altri stati europei come Francia, Germania e Regno Unito, che intendono dare il via libera alle apparecchiature di Huawei solo dopo un severo controllo tecnico. In Italia, hanno detto alcuni esperti a questa testata, questo scrutinio potrebbe avvenire nel nuovo Centro di valutazione e certificazione nazionale (Cvcn) istituito presso l’Iscti del Mise, un luogo dove la sicurezza delle tecnologie delle aziende cinesi potrebbe essere concretamente testata prima di arrivare a una decisione definitiva. Non a caso il Copasir sentirà nelle prossime settimane sullo stesso tema anche il titolare del dicastero di Via Veneto, titolare del dossier 5G.
Più complessa, invece, la gestione del caso Bri: come emerso, l’adesione ufficiale dell’Italia, secondo l’amministrazione Usa, non sarebbe anche in questo caso un mero fatto economico ma risulterebbe aggravata dal fatto che Roma è un membro del G7 e sarebbe il primo Paese di questo “club” ad avallare politicamente a livello governativo i piani espansionistici di Pechino.

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