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E se Luigi Di Maio sul Movimento 5 Stelle non avesse tutti i torti?

Di Maio, liberalismo

E se Luigi Di Maio avesse ragione? Se cioè il tracollo non ci fosse stato e la morte del Movimento fosse ancora molto di là da venire? Volendo le percentuali raggiunte dai Cinque Stelle alle ultime tornate elettorali sono più realistiche di quelle raggiunte alle politiche dell’anno precedente. Possono essere considerate un normale assestamento dopo un voto ove gli italiani avevano voluto trasmetteresoprattuttoun messaggio di cambiamento, voltare decisamente pagina.

Un quinto dei voti validi, e la conferma ad esempio del primato in Basilicata, sono comunque un bel pacchetto da tenersi stretto e su cui costruire il futuro prendendo spunto dall’esperienza del primo anno di governo. Ma allora la confusa prova di governo non ha causato nessuno smottamento? Certo che sì, ma probabilmente si trattava di consensi aleatori destinati presto a fuggire comunque. E che comunque non si sarebbero ripetuti in una consultazione locale. Perché i consensi per una forza basata su idee di cambiamento è fisiologicamente destinata a crescere man mano che il confronto si allarga su scala geografica. Ma con quali idee nuove il Movimento si presenterà alle europee, visto che il fronte dell’europeismo critico è saldamente controllato, almeno in parte, da Matteo Salvini?

È sulla risposta a questa domanda che si giocherà, per i pentastellati, non solo la battaglia politica delle prossime settimane, ma anche il loro futuro. “Ci stiamo preparando a un salto in avanti, cresceremo ancora di più e lo faremo già in occasione delle Europee”. Parole impegnative che presuppongono novità in arrivo: elementi che non possono limitarsi ad un semplice cambio di strategia comunicativa, che sembra di capire sarà decisamente più aggressiva, né alla annunciata riorganizzazione della struttura interna,pure importante e sicuramente più vicina a quella di un partito classico. Cosa bolle in pentola? Come affronterà la campagna elettorale il Movimento? Su quale strada procederà dopo che la battaglia sul “reddito di cittadinanza” ha dato tutto quello che poteva dare e il giustizialismo delle origini è stato contraddetto dalla complessità del reale?

A mio avviso, qualcosa si è già cominciato a vedere con la visita di Xi Jinping in Italia. La controversa operazione della firma del memorandum e degli accordi commerciali con la Cina ha isolato infatti la Lega, fra l’altro critica sull’intera operazione, e si è intestata alla fine completamente alla perseveranza del ministro dello Sviluppo Economico e del presidente del Consiglio. Il quale ultimo sempre più sembra abbandonare il ruolo di bilanciere fra i due alleati di governo e, pur non rinunciando al suo ruolo di mediatore, mostra di propendere più verso il partito che lo ha espresso e che comunque, sondaggi a parte, resta quello di maggioranza relativa. Probabilmente, il viaggio negli Stati Uniti che Di Maio intraprenderà nei prossimi giorni servirà a riequilibrare la barra e a sopire le polemiche degli “atlantisti”, relegando l’entente cordiale con la Cina ad accordo commerciale senza connotati strategici.

Oltre al protagonismo su scala internazionale, credo poi che il Movimento si giocherà anche la carta dell’innovazione, soprattutto quella legata al digitale. Su questo punto, le altre forze politiche sono in ritardo e Di Maio, anche con quello che sta mettendo in piedi al ministero, qualche cartuccia da vendere ce l’ha. A quel punto, l’immagine di partito antimoderno, trasmesso ad esempio dalla battaglia sulla Tav, si smorzerebbe alquanto: anzi le infrastrutture classiche sembreranno agli occhi dei più, e soprattutto dei giovani che votano già oggi il Movimento, come qualcosa di infinitamente arcaico rispetto a chi vuole per l’Italia un ruolo all’avanguardia nelle frontiere dell’Intelligenza artificiale.

Andrà tutto dritto? Dipenderà molto anche dagli uomini e dalle donne su cui cammineranno queste idee, su come sapranno reagire alle sfide che la realtà porrà loro di fronte. Avere ancora quattro anni per operare dal governo per Di Maio è indispensabile. E anche Salvini, allo stato attuale, alternative realistiche all’alleanza coi pentastellati non ne ha.

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