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I “barbari” sono vicini a cristianizzarsi. L’evoluzione di Lega e M5S

Lega

C’è un elemento che accomuna la Lega e il Movimento 5 Stelle in queste ultime settimane, oltre le diatribe e i dispetti reciproci di una litigiosa “coppia di fatto”. Esso non si riduce a una questione di contenuti, ma proprio per ciò è forse più essenziale. Lo potremmo chiamare l’abbandono dell’estremismo, che Lenin, uno che di “cambiamento” se ne intendeva, definiva la fase infantile di ogni rivoluzione.

Avete forse notato tutti come da qualche giorno Matteo Salvini, senza un centimetro cedere sui contenuti, abbia moderato i toni e si stia accreditando, anche con i rapporti internazionali che abilmente sta tessendo il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, come un conservatore radicale ma di vecchio stampo. Stefano Folli parla di “nazional-populismo in doppio petto”, ma, comunque sia, fatto sta che la nuova strategia sembra anche quella più adatta a ridimensionare ancora di più Forza Italia, che è ciò di cui la Lega ha nel medio periodo maggior bisogno.

Da parte sua, Luigi Di Maio, facendosi nominare insieme a Davide Casaleggio, “fondatore” di un movimento del tutto ricostituito, ha definitivamente isolato le due “mine vaganti” che rispondevano al nome di Beppe Grillo (relegato ora al ruolo di semplice “garante”) e di Alessandro Di Battista. Entrambi “nostalgici” del Movimento delle origini, quello del “vaffa” per intenderci, i due si sono mossi negli ultimi mesi quasi all’unisono. Mentre Grillo ha fatto gravare su Di Maio (uno di cui ha detto di “conoscere tutto”) l’imprevedibilità e non controllabilità dei suoi (pur rari) interventi pubblici, Di Battista, invece, ha addirittura avuto la possibilità di mettere alla prova le sue idee eterodosse.

Portatore di un’idea di Movimento diversa e molto meno istituzionale, terzomondista e ribellista, antindustrialista e comunitarista, buttato in campo per arginare la fuga dei consensi segnalata dai sondaggi, Dibba non solo non è riuscito nell’impresa ma si è additittura intestata secondo molti la sonora sconfitta elettorale prima abruzzese, poi sarda. In ogni caso, la riconversione in senso più moderato, ma non trasformistico, delle due forze di governo, non può che avere effetti benefici sulla stabilità del sistema, e soprattutto su quella di un governo destinato a durare per tutta la la legislatura. Il tutto, lungo una linea di “populismo dal volto umano” che il premier Giuseppe Conte ha rappresentato sin dall’inizio di questa esperienza.

Preso atto che il sostanziale (e liberale) cambiamento di idee e classi dirigenti c’è stato, e presumibilmente ancor più ci sarà nei prossimi mesi, e che i “barbari” sono sulla via di “cristianizzarsi”, non possiamo che sperare che i vari e complicati punti della nostra agenda politica siano finalmente affrontati. Se mai usciremo dalla crisi di un’eterna transizione che ormai viviamo da trent’anni, averlo fatto con le armi della politica non può che deporre positivamente per la salute di lungo periodo del nostro Paese.


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