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Cosa cambia con il test missilistico dell’India nello Spazio. Ecco la guerra del futuro

Il test con cui l’India ha annunciato di aver abbattuto un satellite nella bassa orbita terrestre ha riacceso il dibattito sulla militarizzazione dello Spazio. Nonostante l’annuncio “vada ridimensionato”, il trend sembra ormai segnato: “I satelliti saranno sempre più centrali nella guerra del futuro”. Parola di Paolo Crippa, analista del desk Difesa e sicurezza del Centro studi internazionali (CeSI), a cui abbiamo chiesto di commentare il lancio che ha fatto esultare il premier indiano Narendra Modi.

IL CONTESTO DELLA CAPACITÀ ANTI-SATELLITE

“Occorre ridimensionare il test rispetto al clamore che ha avuto”, ha spiegato Crippa. “Le tecnologie anti-satellite nacquero durante la Guerra fredda di pari passo con lo sviluppo dei satelliti, sebbene ci abbiano messo un po’ di più. I primi test esa-atmosferici degli Stati Uniti – ha ricordato – risalgono agli anni 50, perfezionati e raffinati nel decennio successivo fino ad arrivare agli anni 90 con un grado soddisfacente di sviluppo di capacità operativa”. Lo stesso vale per la Russia, che in realtà è arrivata “un po’ in ritardo, con gli sviluppi più significativi nel corso degli anni 70”. Poi, è stata la volta della Cina, che nel 2007 ha fatto tornare il tema delle tecnologie Asat alla ribalta. “Il test di Pechino fece clamore soprattutto per la problematica nube di detriti artificiali e orbitanti prodotti dall’abbattimento del satellite, arrivati a danneggiare le attività di satelliti circostanti e accendendo il dibattito sull’argomento”.

GLI OBIETTIVI DI NUOVA DELHI

Ora, nel novero delle potenze con capacità anti-satellite è arrivata anche l’India, con un annuncio il cui obiettivo pare “più propagandistico che altro”, anche perché “sviluppare capacità Asat non sembra la chiave di volta nella competizione con il Pakistan”. D’altra parte, l’attuale governo di Nuova Delhi “sta spingendo molto sul sentimento nazionalista e sul concetto di grande potenza, all’interno del quale rientrano pure le competenze tecnologiche”. Certo, potrebbe influire anche l’obiettivo di potenziare “la strategia di contenimento sulla Cina, la quale ha dato prova di avere capacità Asat di tutto rispetto”.

COSA SI SA DEL TEST INDIANO

Per quello che si sa finora, il test è stato condotto dalla base spaziale dell’isola Abdul Kalam, a pochi chilometri dalle coste dello Stato indiano di Orissa, nel Golfo del Bengala. Ad essere colpito “in tre minuti” è stato un satellite in bassa orbita terrestre. “Facendo due conti – ha notato Crippa – hanno raggiunto i 300 chilometri di altezza dalla superficie terrestre, quando di norma un satellite militare impegnato in intelligence e imaging si colloca a 800 chilometri, e questo non è un dettaglio”. Per una capacità operativa veramente competitiva, “dovrebbero raggiungere il triplo della distanza, con tutti i problemi di curvatura, pressione e gravità che ciò comporta in un ambiente in cui anche qualche decina di chilometri può fare la differenza”. Prima di dichiararsi tre le superpotenze spaziali, in altre parole, Nuova Delhi dovrà sviluppare “livelli di sofisticazione molto più elevati”.

UN’ESCALATION SPAZIALE

In ogni caso, il test conferma il deciso trend di militarizzazione dello Spazio, un contesto ormai sempre più coinvolto nella competizione globale. Il premier indiano Narendra Modi ha tenuto a precisare l’intenso difensivo della capacità acquisita e la contrarietà a una corsa agli armamenti spaziali. Eppure, “il confine tra offesa e difesa per attività di questo tipo è labile”. Le capacità Asat possono essere infatti utilizzate per colpire satelliti di avversari impegnati in spionaggio o per abbattere assetti che disturbano le attività dei propri satelliti. Allo stesso modo però possono essere utilizzato come strumenti di attacco. Per questo, “è un po’ come per il nucleare: tutti sono contrari, ma se uno parte con gli sviluppi, gli altri seguono”, ha rimarcato Crippa. Siamo dunque di fronte “a una nuova frontiera della guerra, allargatasi a un dominio finora non troppo sfruttato”. E se uno inizia a procedere in questa direzione, “gli altri devono adeguarsi per non accumulare svantaggio competitivo”.

VERSO GUERRE STELLARI

D’altra parte, i satelliti saranno sempre più indispensabili nei conflitti del futuro. “Dal fante a terra ai sistemi di comando e controllo, passando per i velivoli di quinta e sesta generazione e per le fregate in mare, tutto sarà interconnesso con scambi di enormi quantità di dati”. Sarà la rete, garantita dalle costellazioni satellitari, a fare la differenza “nella possibilità di fondere dati e renderli fruibili in tempo reale anche tramite machine learning e Intelligenza artificiale”. In altre parole, ha chiosato l’analista del CeSI, “siamo di fronte a un nuovo modo di intendere la guerra”, un contesto in cui “il satellite sarà centrale ancora più di adesso”. Per questo, “lo sviluppo di tecnologie anti-satellite sarà una capacità strategica per ogni Paese”.

UN RITARDO ITALIANO: IL CAMM-ER

E mentre il mondo avanza verso una competizione sempre più missilistica (tra satelliti e ipersonica), il nostro Paese rischia di restare indietro su un’altra capacità strategica, quella della difesa terra-aria di corto e medio raggio, quella (per intenderci) che assicura la copertura di grandi eventi sul territorio nazionale e la difesa aerea di basi militari e obiettivi sensibili. Le preoccupazioni attuali, già espresse a gran voce dai vertici militari, riguardano la mancata copertura finanziaria per il Camm-Er, il sistema chiamato “a soddisfare un requisito di importanza primaria – ha spiegato Crippa – la difesa di punto terrestre, necessaria ad esempio per garantire la difesa anti-aerea nel caso di un G8 nel nostro Paese”. Attualmente per questo ci sono i missili Aspide, con i sistemi Albatros per la Marina, Spada per l’Aeronautica e Skyguard per l’Esercito. Eppure, “nel 2021 devono per forza uscire dall’operatività causa obsolescenza, anche perché diventerebbe rischioso utilizzarli”.

NESSUN ALTERNATIVA

Senza il Camm-Er, “rischieremo nei prossimi anni di essere sprovvisti di una capacità fondamentale; chiudere la programmazione finanziaria – ha spiegato l’analista – ci lascia con una grande vulnerabilità sul territorio nazionale”. Non ci sono altre opzioni? “Ci sono ma lasciano il tempo che trovano”. Ad esempio, “si potrebbe utilizzare eventualmente il sistema Samp/T dell’Esercito, di cui una batteria è attualmente dispiegata in Turchia per operazioni in ambito Nato”. In alternativa, “si potrebbe ricorrere agli Aster 15 e Aster 30 a bordo delle Fremm, ma hanno come primario uso quello della difesa delle forze marittime”. In definitiva, ha detto Crippa concludendo, “rischiamo di essere sguarniti di difesa anti-aerea di medio e corto raggio nel giro di pochi anni”.

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