Bisogna dare atto a Emmanuel Macron di essere stato l’iniziatore di un genere che da qui al 26 maggio, la data delle elezioni europee, potrebbe divenire di successo: la “lettera agli Europei”.
Non è passata nemmeno una settimana da quando il presidente francese ha affidato ai maggiori quotidiani continentali la sua missiva proeuropeista (alquanto scialba o incolore in verità), ed ecco che Jean-Luc Mélenchon gli risponde con una sua controlettera. La quale, in verità, è significativa a mio avviso soprattutto della divisione che corre fra le forze che si oppongono all’attuale blocco di potere che governa l’Europa e che pregiudica molto la possibilità di una sua presa del potere. La quale potrebbe avvenire, qualora i risultati elettorali lo permettessero, solo con un altamente improbabile esito “contrattuale” che, sulla falsariga di quanto avvenuto in Italia, unisse i “populisti” europei di destra a quelli di sinistra tipo Mélenchon.
Non è tanto l’insistenza del leader di France Insoumise sulla protezione dei più deboli e i diritti sociali che segna la sua differenza dalla destra “sovranista”, quanto la prospettiva veterointernazionalista che emerge dal suo documento. La battaglia europea si giocherà invece molto più sui diritti nazionali, per così dire. Ad un Mélenchon che cerca una lingua universale a tutti i costi, e la trova nell’ideologia dei beni comuni, un sovranista (che a mio avviso è per questo elemento oggi vicino a un liberale classico) potrebbe rispondere che l’Europa in tanto è in quanto è il concerto armonico di mille lingue, voci, tradizioni, sedimentatesi nella storia e legate dal filo di una comune origine (greco-latina e giudaico-cristiana).
Certo, ha ragione il “visionario” Steve Bannon a dire che la distinzione fra destra e sinistra è superata e che il nuovo cleavage politico corre e correrà sempre più lungo la linea che contrappone le élites al popolo (o meglio: una élite autoreferenziale e chiusa in se stessa e una che si propone e che si mostra più attenta ai bisogni popolari). Allo stato attuale però, come il caso italiano dimostra, è difficile trovare una sintesi in cui le diverse posizioni possano convergere: quella sintesi che aveva trovato il vecchio blocco di potere nella (a mio avvisi nefasta) convergenza fra neoliberalismo di destra e cultura liberal di sinistra.
Sarebbe opportuno che la lunga campagna elettorale europea mettesse sul tavolo questi problemi di fondo o ideali. Ogni parto è travagliato, ma il compito dei bravi ostetrici (in questo caso i politici e statisti che si propongono di governare il futuro) è quello di agevolarlo. Mélenchon non sembra sulla buona strada.