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Perché non serve un nuovo partito del Nord a fianco alla Lega “sovranista”

Fra le tante contraddizioni emerse dal voto politico di un anno fa, che in generale ci ha consegnato l’immagine di un paese frammentato e diviso, quella più evidente concerne la frattura territoriale fra Nord e Sud del Paese. Il M5S, attento ai giovani e ai più deboli, ha conquistato il Sud, mentre il voto della Lega, espressione dei ceti produttivi, è rimasto concentrato nelle regioni settentrionali. Una situazione esplosiva per l’unità del Paese, opportunamente ricomposta nel contratto di governo e attenuata negli effetti dal fatto che la Lega, con Salvini, da partito del Nord si è nel frattempo trasformata in un partito attento quanti altri mai all’unità e agli interessi della nazione intera.

Virtù del “sovranismo”, termine brutto e abbastanza insignificante da un punto di vista concettuale! Che però esista, anzi persista, una “questione settentrionale”, speculare a quella classica meridionale, è indubbio. E la questione della cosiddetta autonomia differenziata, in discussione in questi giorni, sta lì a dimostrarlo. D’altronde, ben due referendum popolari in Lombardia e Veneto, l’autonomia l’hanno chiesta a gran voce: non solo la Lega ma il governo tutto non può fingere più di tanto di ignorare la questione.

In questo contesto è da inserirsi l’importante intervista concessa stamattina a Repubblica dall’ex presidente della Regione Lombardia, nonché leader storico della Lega, Roberto Maroni. Molto lucidamente, Maroni non dà molta possibilità, almeno allo stato attuale, alla ricostruzione di un centrodestra a guida Salvini ma con una doppia gamba, di cui una rappresentata da un centro moderato facente capo a Berlusconi. Più discutibile è invece la conseguenza che egli trae da questa constatazione: oggi “esiste – egli dice – solo un’area sovranista e al suo interno c’è uno spazio per una componente centralista e un’altra autonomista”. Da qui addirittura la proposta di un nuovo Partito del Nord che affianchi la nuova Lega “sovranista” e che costituisca esso sì una efficace “seconda gamba”.

A mio avviso è la Lega così come è adesso che può tranquillamente farsi portatrice di entrambe le esigenze, la centralista e l’autonomista, che non sono in contraddizione, senza complicare ulteriormente, con un nuovo partito, il già complicato quadro politico attuale. La via è quella classica del federalismo, una battaglia che credo occorra assolutamente riprendere, in modo più concreto e meno confuso di quanto è avvenuto in passato, non solo a livello nazionale ma anche europeo.

La forza di uno Stato non si misura infatti dalla centralizzazione di tutti i poteri ma dell’efficacia di quelli che è importante facciano capo in modo forte e efficace a un centro (a cominciare dalla difesa e dalla politica estera). La stessa unità di una nazione, che per forza di cose deve essere una unità non omologante ma fatta di diversità, può trarre forza e alimento da una ben concepita e “armonica” autonomia regionale. Questa sarebbe una battaglia su cui impegnarsi, anche per il bene e la sopravvivenza dell’Italia. Ed anche un messaggio di alta politica da trasmettere al Sud, in particolare alle sue classi dirigenti che nascondono dietro alla richiesta di “solidarietà”, soprattutto fiscale e redistributiva, la loro incapacità amministrativa.

Un vasto programma, soprattutto di persuasione, ma Salvini, se come noi pensiamo il governo durerà tutta la legislatura, ha quattro anni per farlo passare.


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