C’è un Paese nello scacchiere europeo che continua a crescere, nonostante un governo dimissionario e con le elezioni alle porte, macinando utili più di Francia e Germania, è la Spagna la vera sorpresa economica del 2018. Il Pil iberico ha chiuso l’anno scorso in aumento del 2,6%, una crescita praticamente tripla rispetto a quella dell’Italia (+0,9%). E anche questo anno dovrebbe mantenere un buon ritmo, con la Banca di Spagna che ha previsto un +2,2% (più del doppio della Germania), un +1,9% nel 2020 e un +1,7% nel 2021.
Si può tranquillamente parlare di un “miracolo economico spagnolo” hanno sottolineato gli analisti per un paese che torna alle urne, per la terza volta in quattro anni, con le elezioni politiche fissate per il prossimo 28 aprile. Il governo presieduto da Pedro Sanchez, leader del Partito socialista spagnolo, si è dimesso dopo la bocciatura del bilancio per il 2019 da parte delle Cortes. E anche se la situazione politica interna rimane fortemente instabile, l’economia continua a crescere con il deficit pubblico attestatosi al 2,63% del Pil, scendendo per la prima volta in dieci anni al di sotto del limite europeo del 3%. Per il ministro delle Finanze Maria Jesus Montero è un “buon risultato, segno delle politiche attuate in questi anni”. Anche Standard and Poor’s, l’agenzia di rating americana si è accorta di questo miracolo e ha sottolineato come “l’economia della Spagna viaggia sopra la media europea” e per quanto riguarda il mercato del lavoro – vero tallone d’Achille del paese – l’agenzia statunitense stima “un tasso di disoccupazione, seppur ancora molto elevato, in progressiva discesa: 14,1% questo anno, 13% nel 2020 e 12% nel 2021”.
Ma come è stato possibile questo successo se, a conti fatti, la Spagna non ha un esecutivo stabile da almeno un triennio e ha dovuto affrontare – senza risolverla – la crisi delle autonomie come la “secessione” invocata dalla Catalogna? Il segreto è nella ripresa della domanda interna che ha sostenuto la crescita, grazie anche ad una riforma del mercato del lavoro – avviata per la verità dal precedente governo di Mariano Rajoy – che sta cominciando a dare i suoi frutti. “Tengono i consumi e gli investimenti – ha spiegato Salvador Ramallo dell’ufficio studi del Bbva Research – sia quelli destinati alle costruzioni e all’edilizia, sia quelli in capacità produttiva e quindi in macchinari e attrezzature per la produzione nelle imprese”. In pratica quello “sblocca cantieri” tanto invocato dalla nostra Confindustria e dalle associazioni di categoria in terra spagnola è già realtà da qualche anno. Il settore delle costruzioni ha sperimentato una crescita decisamente robusta, risultando nel 2017 e 2018 (in termini reali) pari al 6-7% del pil, sostanzialmente il doppio di quanto è riuscito a fare nello stesso periodo il settore manifatturiero e un multiplo anche più alto del ritmo di sviluppo espresso dall’intera economia.
Un prodigio iniziato dopo la pesantissima crisi del 2009 quando era scoppiata la bolla immobiliare che aveva portato anche al fallimento di alcune casse di risparmio iberiche. Una crisi che portò – a differenza dell’Italia allora guidata dal premier Mario Monti – a richiedere nel 2012 l’intervento dell’Unione Europea in un piano di salvataggio che ha messo a disposizione del paese risorse fino ad un massimo di 100 miliardi di euro.
Ma non solo. Alla crescente domanda interna che ha risollevato i consumi si è unita un’attenzione sempre più massiccia per l’attrazione degli investimenti diretti esteri che sono arrivati a pesare per 650 miliardi di dollari. Quasi il 50% del pil iberico è fatto proprio da grandi investitori internazionali, più della Germania e della Francia che arrivano al 30% e ovviamente dell’Italia che si ferma ad un’attrazione del 20% di capitali stranieri.
Questa stabilizzazione dell’economia spagnola è tanto più evidente se si sposta il quadro sui titoli di stato. Mentre il nostro Paese con i suoi titoli di stato è in continua balia dello spread, i bonos spagnoli con i bund tedeschi sono da oltre due anni al di sotto dei 150 punti base e in questo trimestre sono rimasti a lungo al di sotto di quota 120. Da metà 2016 il rendimento dei titoli sovrani spagnoli è stabilmente inferiore al rendimento dei nostri btp, una differenza che è arrivata nelle settimane scorse anche a superare i 180 punti base. In pratica gli spagnoli pagano molto meno interessi rispetto ai nostri titoli e questo genera maggiori risorse a disposizione dello stato spagnolo. Un passaggio spiegato bene da Jean-Christophe Machado, strategist presso la banca d’affari francese Natixis che ha sottolineato come la Spagna, rispetto alla Brexit e alla situazione italiana, vive in una sorta di scia positiva. “Il fatto che l’Italia versi in una posizione negativa ha dato un assist alla Spagna – ha commentato Machado alla Reuters – Meglio puntare sulla Spagna, visto che i loro titoli non hanno reagito negativamente nelle ultime sessioni all’ampliamento dello spread BTP-Bund”. E il sogno spagnolo può continuare a marciare spedito.