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L’impegno della Nato nel Mediterraneo e l’hub di direzione strategica per il Sud

Di Matteo Bressan
vertice libia mediterraneo

L’esito incerto delle primavere arabe nel 2011 ha favorito, da un lato, l’aumento dei flussi migratori verso l’Europa, dall’altro, il collasso dello stato libico, a cui si è andato ad aggiungere il progressivo rafforzamento delle principali sigle della galassia jihadista quali Al – Qaeda e Isis. Il quadro di insicurezza venutosi a manifestare ha determinato un importante ripensamento tra i Paesi dell’Alleanza Atlantica, affacciati sul Mediterraneo. Grazie all’impegno politico dei Paesi centro – meridionali, la Nato, sin dal Summit di Varsavia del 2016, ha iniziato ad abbracciare una visione globale che dovrebbe monitorare, con il medesimo riguardo, tutti i confini dell’Alleanza, pur mantenendo una distinzione tra fronte Sud (identificabile nel quadrante dei paesi dell’area Mena) e fronte Est, caratterizzato dalla tradizionale minaccia rappresentata dalla Russia. Proprio grazie al ruolo delle sue Forze Armate, l’Italia ha ottenuto un Comando dedicato al cosiddetto “fianco Sud” attraverso la creazione dell’Hub di Direzione Strategica della Nato per il Sud (Hub Nsd – S). L’Hub è un nuovo strumento per facilitare l’attuazione della strategia di proiezione della stabilità nella regione meridionale dell’area di responsabilità dell’Alleanza. La messa a punto dell’Hub, attività condotta dal personale neo assegnato di concerto con quello del Comando Jfcnp, prevede che si instaurino da subito legami con le altre Organizzazioni internazionali, come ad esempio l’Unione europea, l’Unione africana, le Nazioni Unite e le Ong operanti sul terreno in quei Paesi su cui l’Hub focalizza la sua attenzione. Per ora, sono già stati stabiliti legami con l’Unione africana ed alcuni Paesi del Nord Africa. Nello specifico, l’apporto dell’Hub Nsd – S s’indirizza a soddisfare quattro esigenze fondamentali dell’Alleanza:

Un miglior coordinamento degli sforzi lungo il fianco meridionale: l’intento primario è proprio quello di fornire al Saceur (Supreme Allied Commander Europe) indicazioni concrete e fattibili sull’armonizzazione delle varie attività Nato in corso nell’area. Il fine è di ottimizzare gli sforzi, evitando sovrapposizioni e spreco di risorse ma, soprattutto, creare le condizioni per fornire un eventuale sostegno della Nato adeguato e tempestivo;

Una migliore condivisione delle informazioni tra la Nato e gli attori non – Nato, mediante la definizione di specifici accordi e procedure;

Una migliore comprensione della situazione locale. Il personale dell’Hub opera a stretto contatto con gli attori in loco per addivenire ad una conoscenza della situazione che sia, contestualmente, olistica ed accurata, oltre quindi la dimensione militare della Nato in senso stretto;

Una migliore valutazione degli effetti sul terreno. Oltre a facilitare gli interventi Nato e a valutarne l’efficacia, l’Hub consentirà di misurare gli effetti degli interventi sul terreno, in collaborazione con gli altri attori in loco.

L’Hub può essere meglio inteso come un “orecchio esterno” al servizio dei Comandanti Nato per avere una più completa ed efficace comprensione degli effetti reali degli interventi dell’Alleanza in contesti collocati oltre i confini della stessa area di responsabilità della Nato. In tal senso il Mediterraneo ed i Balcani si confermano centrali per l’Italia e per la Nato, che contribuisce attivamente ed effettivamente alla pace e alla stabilità nello scenario internazionale, attraverso la promozione dei valori democratici ed impegnandosi nella composizione pacifica dei conflitti. Tuttavia, nel caso in cui gli sforzi diplomatici falliscano, la Nato dispone della capacità militare necessaria alla messa in atto di operazioni di gestione delle situazioni di crisi, sia da solo che in cooperazione con gli altri Organismi Internazionali e gli altri Paesi. Attualmente ci sono 18mila militari impegnati in missioni condotte dalla Nato nei vari teatri del mondo e, di queste, una parte significativa riguarda il Mediterraneo e la regione dei Balcani. Si tratta di missioni che coinvolgono forze terrestri, navali ed aree, come ad esempio:

–          la Kosovo Force (Kfor);

–          l’operazione Sea Guardian nel Mar Mediterraneo;

–          il sostegno alle operazioni di gestione della crisi dei profughi e migranti nel Mar Egeo;

–          il contributo alla Difesa aerea e missilistica integrata a salvaguardai del territorio e dello spazio aereo della Turchia;

–          la missione Nato di sorveglianza (air policing) tesa alla salvaguardia dell’integrità dello spazio aereo dei membri della Nato sprovvisti di Forze Aeree nazionali;

–          le misure Nato di rassicurazione (Assurance Measures), tra cui quelle riguardanti il Mar Baltico e il Mediterraneo Orientale, a seguito dell’aggressione portata dalla Russia all’Ucraina.

Pensare che le molteplici criticità alla sicurezza della regione siano affrontate dalla Nato con un approccio unico sarebbe però davvero errato e per questo ciascuna delle missioni dell’Alleanza ha un ruolo e degli obiettivi specifici, fermo restando che ciascuna missione e gli effetti che si propone di raggiungere possono esser appresi pienamente solo se visti come tessere di un unico mosaico. Va sottolineato come la Nato non operi da sola e come la maggior parte delle missioni cui si è accennato preveda una stretta cooperazione con altre Organizzazioni Internazionali, come avviene con le operazioni Sea Guardian e Sophia, quest’ultima condotta dalle Forze navali dell’Unione europea, oppure attraverso partenariati esistenti con l’Unione Europea e Frontex (l’Agenzia per il Controllo delle Frontiere e delle Acque Costiere) nelle azioni di contrasto del contrabbando e della migrazione illegale nell’Egeo. L’impegno della Nato nel fronte Sud è stato confermato anche dal segretario generale Jens Stoltenberg nel corso dell’ultima ministeriale dei ministri della Difesa tenutasi a Bruxelles lo scorso 3 – 4 ottobre. Un impegno che si sostanzierà con una nuova missione di addestramento in Iraq per aiutare le forze locali e con la continuazione delle attività a supporto di Tunisia e Giordania per incrementare le loro capacità di difesa e sicurezza. Impegni ritenuti fondamentali dal Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che ha apprezzato come l’Alleanza, dopo decenni, oltre a guardare ad est, inizierà ad occuparsi del Mediterraneo, un’area di forte interesse per l’Italia.

L’Hub non è probabilmente la soluzione immediata alle complesse sfide che caratterizzano il fronte Sud, così come molta strada dovrà esser ancora percorsa per fare comprendere meglio, tra gli stessi alleati, le potenzialità di questa struttura. L’Hub, tuttavia, fornisce una sede per l’interazione con i partner regionali che, attraverso la costruzione di una diversa immagine della Nato quale strumento di “soft power” e la ricostruzione del livello di fiducia pre-crisi libica, potrebbe nel tempo favorire l’impulso necessario per creare partenariati più solidi e un’alleanza più sicura.

 

Matteo Bressan, Direttore dell’OssMed – Lumsa, analista della Ndcf, docente presso Lumsa e Sioi

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