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Nord Stream 2, sul gasdotto della discordia arriva la tegola danese

Al Cremlino non saranno molto contenti. Se non altro perché ci sono in ballo 55 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno che la Russia intende importare in Europa passando sotto il Mar Baltico fino a raggiungere la Germania. La notizia rischia di scombussolare i piani di Mosca e del suo campione dell’energia, Gazprom, uno dei maggiori produttori di gas al mondo e che da solo copre il 70% della produzione russa di gas.  Il governo danese ha intenzione di bloccare i lavori per la costruzione del gasdotto Nord Stream 2, il progetto con cui raddoppiare la capacità dell’attuale Nord Stream che collega Russia e Germania, nella propria zona economica esclusiva nel Mar Baltico. L’indiscrezione è trapelata dallo staff di Naftogaz, il colosso di Stato ucraino, che sul proprio profilo Twitter, ha fatto saper come “Gazprom si vede imporre un nuovo rifiuto dalla Danimarca per il progetto del Nord Stream 2”.

Copenaghen dunque si rifiuta di concedere il proprio spazio economico sul baltico per la messa in posa dei tubi con cui importare il gas russo nel Vecchio Continente. La costruzione del Nord Stream (200 mila tubi di acciaio ricoperti di cemento e rinforzati con un’armatura di ferro, ognuno della lunghezza di 12 metri e dal peso di 24 tonnellate)  è iniziata in Germania lo scorso maggio, con l’accordo sul finanziamento firmato da Engie (Francia), Omv (Austria), Royal Dutch Shell (Regno Unito-Paesi Bassi), Uniper e Wintershall (Germania). Se completato, il gasdotto Nord Stream 2 fornirà ben oltre 50 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno dalla Russia alla Germania passando sotto il Mar Baltico, aggirando i paesi di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria-V4), gli Stati baltici e l’Ucraina, che dunque contestano il progetto.

Il no danese al passaggio della pipeline sui propri fondali rappresenta solo uno degli ultimi intoppi al progetto Nord Stream 2. Tanto per cominciare l’Europa non ha mai visto di buon occhio il progetto, che nei fatti finirebbe nella logica di Bruxelles con l’aumentare la dipendenza dell’Europa dal gas russo. In più c’è un problema di regole. Già nel 2014 infatti, Bruxelles aveva bocciato il progetto South Stream, cioè il gasdotto che doveva collegare la Russia all’Italia attraverso i Balcani, ufficialmente perché contrario alla normativa energetica europea che prevede il divieto fatto a un unico operatore di possedere sia il gas sia gli impianti con cui viene trasportato. In questo caso, l’operatore in questione era sempre la russa Gazprom. Dunque il Cremlino non può contemporaneamente importare gas ed essere proprietario dei gasdotti.

Nel frattempo però è intervenuta la revisione nel 2017 del terzo pacchetto per l’energia che ha cambiato le carte in tavola, con specifici obblighi per Gazprom. La quale sarà obbligata a cedere le funzioni di operatore a un’impresa indipendente. Il colosso russo dell’energia guidato dall’amministratore delegato Alexei Miller dal 2001 dovrà inoltre rinunciare al 50% delle capacità del gasdotto, di cui possiede invece oggi la totalità. C’è da dire che d’altra il Nord Stream 2 garantirebbe uno sbocco importante ed entrate sicure nei prossimi anni, annullando virtualmente le varie criticità per il gas venutesi a creare con l’esplosione della crisi in Ucraina. Ancora, più volte, il presidente americano Donald Trump, ha criticato il progetto Nord Stream 2 (fortemente sponsorizzato da Berlino) per il fatto di dare a Vladimir Putin un potere pressoché assoluto sugli approvvigionamenti di gas in Europa. Adesso però, con lo stop di Copenaghen, la strada verso il Nord Stream 2 si fa un po’ più ardua.

 

 

 

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