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Tutti i passi (anche culturali) della PA italiana verso l’e-government

Di Carlo Scuderi

Negli ultimi decenni, per la pubblica amministrazione, l’esigenza di dotarsi di una lingua di comunicazione chiara ed efficiente, sia nella comunicazione interna sia in quella rivolta ai cittadini è diventata sempre più sentita e diffusa. Nonostante i ritardi, alcune tappe importanti sono state segnate.

A partire dagli anni ’90, con una ulteriore accelerata in tempi recentissimi, lo Stato ha finalmente attribuito un posto di rilievo ai problemi connessi alla lingua della pubblica amministrazione. Nell’ambito di questo rinnovato interesse si colloca, nel dicembre 1993, la pubblicazione del Codice di stile delle comunicazioni scritte a uso delle pubbliche amministrazioni, fortemente voluto dall’allora ministro della Funzione Pubblica Sabino Cassese e edito dal Dipartimento della Funzione Pubblica. Nel 1997, tale codice è stato perfezionato dal Manuale di Stile, di cui è in corso una nuova e aggiornata edizione. Nel maggio 2002, i consigli e le tecniche contenuti nel Manuale di Stile hanno assunto un carattere maggiormente formale ed ufficiale con la Direttiva sulla semplificazione del linguaggio nei testi amministrativi. Sul piano normativo, un forte segnale di attenzione da parte delle istituzioni ai problemi della comunicazione all’interno della pubblica amministrazione è costituito dalla legge 150, approvata il 7 giugno del 2000, che disciplina le attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni. Le “attività di informazione e di comunicazione” includono:

a) l’informazione ai mezzi di comunicazione di massa, attraverso stampa, audiovisivi e strumenti telematici;
b) la comunicazione esterna rivolta ai cittadini, alle collettività e ad altri enti, attraverso ogni modalità tecnica ed organizzativa;
c) la comunicazione interna realizzata nell’ambito di ciascun ente.

Pur non riguardando esclusivamente la lingua, dunque, la legge 150 fa emergere l’urgente necessità di formare figure professionali esperte di comunicazione e di lingua. Merita di essere menzionata in questo contesto una sentenza pronunciata dalla Corte Costituzionale nel 1995 che ha affermato il diritto dei cittadini a ignorare norme di legge, oggettivamente intricate e incomprensibili. L’idea sottostante a questa sentenza è che la comunicazione sociale deve essere chiara per “dovere” etico-politico nei confronti dei cittadini e per espletare le proprie funzioni: informare, rendere conto e regolare i comportamenti.

IL FATTORE CULTURALE

La specificità del percorso italiano in questo ambito è legata alla peculiarità della storia italiana. Una vicenda politico-istituzionale all’insegna della costante distanza tra “dirigenti” e “diretti”, una storia linguistica caratterizzata da una netta separazione tra lingua scritta e lingua parlata e infine una tradizione scolastica fortemente orientata sullo scritto sono infatti tra le cause che hanno determinato una storica separatezza tra la lingua delle istituzioni e quella comunemente parlata e scritta dalla maggioranza dei cittadini. Tullio De Mauro ha osservato: “La distanza linguistica tra chi è o crede di essere nel palazzo e chi sta nella piazza ha percorso tutta la storia effettuale dell’Italia unita e di buona parte dell’Italia repubblicana. Infatti chi rappresenta un potere, anche pubblico, si cela dietro l’utilizzo di un incomprensibile linguaggio “settoriale”, spesso grammaticalmente scorretto, per proteggere la propria posizione di vantaggio sociale e costringere il resto della società a passare attraverso la loro intermediazione per “sbrogliare la matassa”. Questo fa della lingua uno strumento di potere, limitando di fatto la libertà di accesso a tutti i servizi da parte della generalità della popolazione. Dall’altro canto, una diffusa insicurezza nell’utilizzo corretto della lingua italiana accomuna trasversalmente tutti i ceti e i gruppi sociali. Tale insicurezza si manifesta, non solo nei comportamenti linguistici di coloro che hanno bassa o nulla scolarità, ma anche nei comportamenti comunicativi di chi non è abituato alle esigenze di chiarezza, di precisione e di espressività della comunicazione in italiano diretta al grande pubblico e si rifugia nell’uso quasi gergale del proprio ambito professionale. 

La comunicazione fallisce proprio per la scelta ideologica di far adattare il destinatario, che non è uno specialista, alle caratteristiche della comunicazione del settore specialistico dell’emittente.

L’avvento dell’e-government palesa questo genere di lacune e costringe la pubblica amministrazione a ravvedersi per avvicinarsi al cittadino utente.  Una lingua di comunicazione chiara, semplice ed efficiente e una rigorosa strutturazione concettuale dei contenuti ci paiono un presupposto fondamentale per usufruire dei vantaggi dell’e-government. Se infatti l’e-government permette al cittadino e alle aziende di accedere direttamente dalle proprie case o dai propri uffici ad un’ampia serie di servizi e informazioni, l’assenza di trasparenza linguistica rischia di limitare l’autonomia dell’utente, che è costretto a ricorrere agli uffici, o a un fitto scambio di e-mail con essi, per verificare la propria comprensione. La chiarezza comunicativa è un presupposto fondamentale per permettere l’eguale accesso dei cittadini ai benefici prodotti dall’e-government. Il governo ha riconosciuto il pericolo di escludere fasce di cittadini dal nuovo sistema di comunicazione della pubblica amministrazione.

I TECNICISMI 

Nei rapporti con il cittadino, la larga presenza di tecnicismi lessicali e semantici, abbreviazioni e sigle può rappresentare una vera e propria barriera per la comprensione. Spesso nel redigere il testo dei bandi si riportano locuzioni giuridiche, trascurando la grande differenza esistente tra le due tipologie testuali. Le leggi hanno infatti una “rigidezza” e una “formularità”, che costituiscono parte del loro valore giuridico e, contemporaneamente, tendono ad allontanarle dalla lingua comune.

La struttura di un testo giuridico e legislativo conosce degli usi formulari che sono in molti casi costitutivi del loro valore legale. La formularità di certi testi ha insomma la capacità di trasformare una situazione. In essi dire e fare sono in strettissimo rapporto; modificare la formula può interferire nella capacità performativa di un testo. Ciò non è vero invece per l’enorme massa di comunicazioni, direttive, informazioni che si producono ai vari livelli della burocrazia”. Mentre i testi rivolti al pubblico non legano la loro validità giuridica alla formularità, ragion per cui non è necessario riportare frammenti della complessa e tecnica lingua giuridica. Le questioni sollevate toccano punti nevralgici del sistema di comunicazione interno alla Pubblica Amministrazione regionale ed esterno, rivolto, cioè, ai cittadini.

L’ASPETTO LINGUISTICO-TESTUALE

La realizzazione di ogni progetto di e-government passa per la formazione e la riqualificazione dei dipendenti e dei dirigenti pubblici, attraverso un programma di preparazione linguistico-testuale. Sia l’interesse mostrato dal governo nel promuovere la diffusione di una lingua semplice ed efficace, sia l’oggettiva e comprensibile difficoltà incontrata dai dipendenti a mettere in pratica questa intenzione con gli strumenti a loro disposizione, testimoniano l’esigenza di sviluppare professionalità nuove, ad alto livello di specializzazione, che dovrebbero essere in grado di gestire, a tutti i livelli, la comunicazione interna ed esterna alla pubblica amministrazione. Non esistono tecniche che, meccanicamente trasmesse e apprese, possano garantire un efficiente sistema comunicativo. Tale garanzia può essere offerta solo da un articolato e specifico programma di formazione. A giudicare dal proliferare di master e corsi di perfezionamento dedicati alla comunicazione nella pubblica amministrazione, si desume che vari soggetti specializzati nella formazione siano consapevoli della necessità di programmi di formazione incentrati sulla comunicazione e destinati alla pubblica amministrazione. Paradossalmente, però, la quasi totalità di questo tipo di corsi trascura di affrontare, in modo adeguato e specialistico, problematiche riguardanti la lingua, ovvero lo strumento di comunicazione fondamentale e il cuore della comunicazione stessa; i corsi in questione riservano invece, ampio spazio a principi astratti di comunicazione di matrice psicologica o sociologica, che possono arricchire una preparazione, ma possono influire solo indirettamente su una futura prestazione professionale. Sottovalutano il potenziale apporto delle discipline linguistiche nell’ambito di percorsi formativi incentrati sulla comunicazione e destinati alla pubblica amministrazione.

COMUNICAZIONE ACCESSIBILE

Le dinamiche di comunicazione, le strategie per costruire diverse tipologie di testo, da un punto di vista logico e formale costituiscono, infatti, tradizionalmente uno specifico oggetto di indagine da parte della linguistica generale e, in particolare, di tre sue branche: la linguistica testuale, la linguistica pragmatica e la sociolinguistica. Il ruolo di queste discipline nei percorsi formativi destinati a dipendenti e futuri dipendenti pubblici è invece ampiamente riconosciuto e valorizzato al di fuori dell’Italia. In tempi recenti, per esempio, negli Usa quasi quaranta stati hanno adottato norme finalizzate ad imporre l’uso di una lingua accessibile e chiara in tutte le comunicazioni rivolte alla totalità dei cittadini oppure ad una vasta utenza. Norme analoghe sono state adottate in diversi paesi europei. In Svezia, ad esempio, per legge, i diversi uffici della pubblica amministrazione preposti alla redazione di testi destinati ai dipendenti e di testi rivolti al pubblico sono stati dotati di un esperto di comunicazione e linguaggio con lo specifico compito di assicurare una comunicazione chiara ed efficiente. Un errore che si fa spesso è quello di non ritenere che un testo infarcito di tecnicismi, parole rare o difficili sia da considerare più colto, più ufficiale di un testo piano in cui prevalgano parole di uso comune.

In conclusione, nell’utilizzare tecnicismi lessicali e semantici il redattore di un documento di comunicazione interna deve ispirarsi ad un criterio di convenienza e necessità che può essere così   riassunto: usare tecnicismi lessicali e semantici, abbreviazioni e sigle solo quando necessario e quando essi rappresentano un ausilio per l’immediata comprensione del testo.

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