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L’Italia è la più solida democrazia al mondo. Ecco perché

Di Federico Castiglioni
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Un sistema democratico non è semplicemente una forma di governo che risponde ai voleri (e ai capricci) del popolo, ma un’architettura istituzionale che incanala quelle stesse istanze in una forma ordinata e la disciplina per legge. Se si valutasse tuttavia la democrazia semplicemente come tempestività di risposta delle classi dirigenti alle istanze che vengono dal basso, si potrebbe concludere che negli ultimi dieci anni nessun Paese è stato tanto suscettibile al vento di cambiamento quanto il nostro.

Oggi in molti si sorprendono del fatto che il ministro dell’Interno Salvini ampli a dismisura, seppur in maniera informale, i limiti che il suo mandato gli assegna, spaziando su argomenti che vanno dalla politica estera alle infrastrutture. Sempre di più il leader della Lega viene considerato, sia in Italia che all’estero, il più autentico rappresentante dell’esecutivo. Il motivo dipende dai sondaggi, certamente, ma anche dalla percezione che gli italiani hanno sull’uomo forte del momento, una percezione che viene assecondata sempre più rapidamente dal sistema politico-istituzionale.

Quello che prima era un privilegio parlamentare, ossia la possibilità di fare e disfare i governi a seconda delle maggioranza in aula, viene così sovvertito da un sistema fluido che tenta di carpire gli umori del momento e farli propri. Questa tendenza, al contrario di ciò che si crede, non è così recente, ma è solo il punto di arrivo di un percorso che si è radicalizzato negli ultimi anni. Nel 2011, ad esempio, l’uomo forte era (strano a dirsi) Mario Monti. L’ex commissario europeo era stato incoronato con più del 60% dei consensi all’insediamento solo per ciò che rappresentava, ossia discontinuità con il governo Berlusconi, che pure aveva vinto significativamente le elezioni del 2008.

La maggioranza parlamentare del Pdl al tempo, seppur scossa dall’addio di Fini, era ancora relativamente solida, ma il sistema-Paese, cogliendo gli impulsi in tal senso che venivano sia dall’interno che dall’esterno, scelse di cambiare rotta. Un secondo caso è quello di Matteo Renzi, arrivato a Palazzo Chigi inaspettatamente sull’onda di un sondaggio d’opinione popolare e senza alcun merito, se non quello di aver vinto le primarie del PD. Anche in questo caso l’opinione pubblica ribaltò i desiderata parlamentari che invece avevano indicato Enrico Letta, uomo del compromesso, come loro legittimo rappresentante e nutrivano ben poca simpatia per il fiorentino. Ma del resto la fine del governo Gentiloni e il conseguente tracollo del Partito democratico ci dimostrano anche la correttezza di quella scelta, visto che ormai è diventato evidente quale sia il prezzo da pagare per chi voglia remare contro questo cangiante (e ineffabile) umore dell’opinione pubblica.

È da questa storia che nasce l’“anomalia” salviniana. Il sistema democratico del Paese è sempre più flessibile e suscettibile a ciò che viene carpito dalle antenne romane, che tentano di mascherare dietro l’uomo forte del momento le loro insufficienze. Questa ricettività, anche se presenta alcuni sostanziali rischi, ha però anche dei vantaggi sui quali si riflette poco. Ad esempio è grazie a questa elasticità che l’Italia ha evitato l’insorgere di casi indipendentisti sul modello spagnolo, o ha spento sul nascere fenomeni potenzialmente distruttivi come quello dei gilet gialli, o ha evitato vere e proprie crisi istituzionali come quella romena, o ha reso improbabili dei referendum improvvisati per una Italexit.

Insomma, la flessibilità della democrazia italiana del momento, contrapposta alla rigidità di altri sistemi, rende paradossalmente anche le istituzioni più solide, chiedendogli di riconoscere prontamente i movimenti tellurici della società. Questo premio invisibile del consenso, che segue ritmi sempre più sfasati rispetto al momento elettorale e dinamiche diverse da quelle parlamentari, nei fatti evita che si crei quella frattura tra istituzioni e cittadini che potrebbe minare sul lungo periodo la stessa democrazia.

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