Non c’è dubbio che comunicativamente il fine settimana sia stato un momento d’oro per la sinistra, coadiuvata anche da una stampa e da mezzi di informazione in larga parte amici. Bene ha fatto perciò Matteo Salvini a conservare un profilo basso, perché altrimenti ogni sua dichiarazione avrebbe inevitabilmente acceso ancor più i riflettori sulla parte avversa.
Sinistra rinata? Inversione di un trend? Ovviamente nulla di tutto questo, anche se indubbiamente il combinato disposto fra manifestazione di Milano e primarie nazionali ha rinsaldato lo spirito di appartenenza e dato un tono a chi, ammaccato da molte sconfitte elettorali, aveva bisogno, diciamo così, di un aiuto psicologico. Le domande che secondo me ci si deve porre sono però di altro tipo e sono essenzialmente due: quale immagine nuova della sinistra esce da questo fine settimana? Come rispetto ad essa si porranno le forze di maggioranza, e soprattutto la Lega di Salvini?
Dal primo punto di vista direi che la sinistra, nonostante l’elezione di Nicola Zingaretti a segretario del Pd, non ha fatto altro che mettere in scena se stessa, la sua immagine di sempre. Questa volta però con una interessante divisione dei ruoli. All’arcipelago di sigle milanesi il compito di tenere in vita la bandiera dei diritti, messa a dura prova ultimamente dai fatti della storia, e sicuramente poco adatta a traghettarci nel nuovo mondo; a Zingaretti, in prospettiva, il compito di resuscitare a nuova vita il vecchio nucleo dirigente del Pd mettendo definitivamente fine alla stagione del renzismo (e del post-renzismo). È proprio l’incapacità di individuare idee nuove e non di circostanza, adatte da una parte a meglio rispondere ai problemi nuovi e dall’altra a costituire una piattaforma di novità, che lascia perplessi dal punto del riscontro elettorale. In effetti, le due proposte di sinistra, radical-globalista e post-democristiana/post-comunista, sono state già ampiamente bocciate dagli italiani. L’aspetto più interessante concerne però la risposta che ora darà Salvini, cioè il leader forte dell’altro schieramento. Il quale, pur procedendo con il vento in poppa, ha tre grossi problemi da risolvere: il governo, l’ampliamento della proposta politica, le alleanze europee e internazionali in genere. Il problema del governo si fa per il leader della Lega sempre più complicato, essendo i Cinque Stelle in una crisi di identità e di consensi che in parte imputano (forse sbagliando) alla esuberanza dell’alleato contrattuale.
Salvini, da una parte, non può che continuare l’esperienza di governo, non avendo ancora la forza per andare al voto; dall’altra, deve far digerire, o almeno spiegare in modo convincente, al suo elettorato tutte le concessioni che dovrà per forza di cose concedere nei prossimi mesi ai pentastellati. La necessità in prospettiva di allargare la proposta politica è invece dettata da due considerazioni: dal fatto che il messaggio sull’immigrazione è stato efficacissimo ma non dà più ormai possibilità di sviluppo ulteriore; dal fatto che lo smottamento di Forza Italia verso la Lega c’è stato solo in parte.
Per agevolare ancora di più quest’ultimo processo, per molti versi “naturale”, credo che Salvini, senza troppo concedere sui suoi contenuti, debba individuarne altri più consoni ad un ceto moderato e borghese. Altro problema non da poco è quello delle alleanze. Perfidamente Repubblica stamattina ha “pettinato” nel titolo le dichiarazioni di Viktor Orban in un’intervista: “Salvini? È senza strategia”. Anche se il leader ungherese non ha detto propriamente questo, è chiaro che una strategia europea di alleanze forti la Lega ancora non ce l’ha. Così come non ha ancora un rapporto preferenziale, da giocare anche in chiave europea, con Donald Trump, che è forse oggi il politico che è più vicino alle idee e posizioni della Lega.
Da questo punto di vista Giorgia Meloni è più avanti e si sta muovendo molto bene: in una settimana ha sferrato un doppio colpo portando “Fratelli d’Italia” nel gruppo europeo dei conservatori e parlando a Washington, unica italiana, al tradizionale appuntamento dei conservatori americani. In una vasta alleanza fra conservatori e moderati, Giorgia Meloni credo che non possa non esserci.