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Scuola, il Concorsone e la discriminazione professionale

Anna Monia Alfieri scuola

(Di diritto) È la contemporanea presenza di tre libertà – di insegnare, di istituire scuole e di scegliere i luoghi dell’istruzione – che conferisce carattere pluralistico al sistema scolastico delineato dalla Costituzione. Le prime due libertà apparirebbero svuotate di contenuto senza la terza, quella cioè della scelta della scuola pubblica – statale o paritaria – da frequentare.

(De facto) Ma nell’attuale Sistema Scolastico (solo) Italiano sempre più classista, regionalista e discriminatorio si ripete come un disco rotto “Il ricco sceglie e il povero si accontenta” lo dicono i genitori e con loro i docenti.

A parità di titoli e di risultati educativi, il docente della scuola pubblica statale riceve infatti uno stipendio superiore rispetto al collega della scuola pubblica paritaria. E’ una situazione onesta questa? Ovviamente si potrebbe obiettare che il docente della scuola paritaria può benissimo rassegnare le dimissioni quando è chiamato in ruolo nello Stato e percepire un salario maggiore. E’ vero, nella maggioranza dei casi le cose vanno a finire così.

Però, viene da chiedersi, è ontologicamente giusta questa situazione? È giusto che un docente che lavora con passione da anni in una scuola paritaria, dichiarata “pubblica” per legge (62/2000) e che rilasci titoli dal valore legale equipollente a quelli rilasciati dalla vicina scuola statale, ne condivide il progetto educativo, partecipa con entusiasmo alle diverse iniziative, debba, a un certo punto – e nel 99% dei casi a malincuore – abbandonare tutto perché non può rinunciare a uno stipendio superiore?

Come se non fosse abbastanza aver assistito alla scellerata modalità di Immissione in massa nello Stato con l’unico scopo (ideologico?) di svuotare le GAE, oggi siamo di fronte al Concorsone indetto dal ministero dell’Istruzione che esclude, senza precedenti, le maestre ed i maestri delle scuole paritarie primarie e dell’infanzia, che hanno concluso gli anni di studio entro il 2001/2002.

La domanda è sempre la stessa: è un sistema giusto e rispettoso dell’individuo? Lo Stato rispetta i suoi cittadini, siano essi genitori o docenti? Assolutamente no! Il sistema è discriminatorio e iniquo. La causa di tutta questa iniquità è ciò che potrebbe essere definito un paradosso: lo Stato italiano ha voluto (e vuole?) avocare a sé un duplice ruolo, quello di erogatore di un servizio e quello di garante del servizio stesso. Una situazione tipica dei regimi che vogliono assumere integralmente l’educazione delle menti delle nuove generazioni. Sembra un’esagerazione ma le cose stanno così. Una discriminazione perseguita con ferma volontà al costo di ben 7 Miliardi di euro annui di tasse dei cittadini contribuenti.

Difatti è significativo il fatto che nella Sanità si sia arrivati da decenni ad un sistema pubblico realmente integrato tra gestione statale e gestione privata; nella scuola no. Da anni viene portata avanti una battaglia di civiltà che vuole porre ordine in questo sistema non libero nell’ispirazione, non efficace nell’attuazione, non efficiente nei risultati e, ovviamente, non sostenibile nei costi. Grazie alla lungimirante proposta di individuare il costo standard per alunno, si può sperare che anche in Italia la libertà educativa e di insegnamento potranno essere finalmente garantite, come nel resto d’Europa ad eccezione della Grecia, portando lo Stato a svolgere l’unico ruolo che gli è proprio, ossia quello di garante del servizio di istruzione e di formazione dei cittadini.

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