Houston, abbiamo un’alternativa. Dopo anni di dipendenza dalle navicelle russe Soyuz, gli Stati Uniti assaporano il ritorno a un accesso allo spazio indipendente. Nonostante i ritardi accumulati dal programma, il lancio della Crew Dragon di Space X fa ben sperare, mentre anche Boeing si prepara a testare la sua Starliner.
VERSO UN ACCESSO AUTONOMO ALLO SPAZIO
L’attracco corretto alla Stazione spaziale internazionale (Iss) dopo circa 27 ore dal lancio ha fatto esultare l’amministratore della Nasa Jim Bridenstine, apparso sorridente accanto al miliardario proprietario di Space X Elon Musk. Il senso del test è d’altra parte molto più geopolitico di quanto non si creda. L’aria tesa tra Washington e Mosca si è già fatta sentire oltre l’atmosfera. Solo poche settimane fa, Bridenstine è stato costretto ad accogliere le pressioni del Congresso e a cancellare l’invito all’omologo dell’agenzia russa (Roscosmos) Dmitry Rogozin. Pace fatta dopo pochi giorni, ma il clima è rimasto incandescente. In tutto questo, l’accesso allo spazio rimane il tema prioritario per gli Stati Uniti, che dalla dismissione dello Shuttle nel 2011 sono stati costretti ad acquistare posti a bordo della Soyuz per i propri astronauti.
LA PARTITA SULLA SOYUZ
Una situazione non proprio in linea con le ambizioni di tornare sulla Luna e di procedere presto alla conquista di Marte, soprattutto se il contratto con i russi copre i voli fino a tutto il 2019 (pagati circa 80 milioni di dollari l’uno). Poche settimana fa, dalla Nasa è arrivata a Mosca una richiesta per ulteriori due posti, così da avere la garanzia di trasporto per gli astronauti americani fino all’inizio del 2020. Già a febbraio dello scorso anno, l’Agenzia americana affermava la valutazione un’opzione di emergenza: utilizzare i test con equipaggio per la rotazione degli astronauti diretti all’Iss. Opzione che richiederebbe tutt’ora di forzare le stringenti norme legate a certificazione e validazioni di sicurezza.
LE MISSIONI USA
D’altra parte, proprio l’obiettivo di riconquistare l’agognata autonomia nell’accesso allo spazio ha determinato anni fa l’avvio di programmi nazionali affidati ai big del settore. Non tutto è però andato nel verso giusto per la Crew Dragon di SpaceX e la Cst-100 Starliner di Boeing. Quando fu firmato il contratto nel 2014, si prevedevano i primi lanci entro la fine del 2017, quando però sono iniziati i continui ritardi. L’ultima tabella di marcia è stata aggiornata pochi mesi fa, e prevede che la Starliner faccia il suo debutto ad aprile. Per la Crew Dragon, l’obiettivo è realizzare la missione Demo-2 (quella più delicata perché avrà equipaggio a bordo) entro la fine dell’anno, ma comunque non prima di luglio. Intanto, sono già stati selezionati i suoi due passeggeri, gli astronauti Nasa Bob Behnken e Doug Hurley, che stanno seguendo con attenzione tutta la missione Demo-1 dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral.
UN RIENTRO DELICATO
Il primo impegno della Crew Dragon non è difatti ancora terminato. Prima di concludere i festeggiamenti, occorrerà aspettare il prossimo venerdì, quando la navicella si staccherà dell’Iss per ammarare al largo della Florida ed essere recuperata dalla navi di SpaceX. Lo stesso Musk ha ammesso che il rientro a velocità ipersonica “comporta probabilmente la preoccupazione maggiore” per la missione. La forma asimmetrica del guscio posteriore della capsula, rispetto alla versione cargo della stessa navicella, “potrebbe potenzialmente causare un’instabilità di rotazione al rientro”, ha spiegato il fondatore di SpaceX. I dati delle simulazioni sono apparsi rassicuranti, ma l’impressione è che la tensione per il viaggio di ritorno sia piuttosto alta.
LO SPAZIO COMPETITIVO E PRIVATO
Ad ogni modo, la missione della Crew Dragon e l’eco mediatica che ha avuto confermano almeno due tendenze dello spazio contemporaneo: il ruolo ormai essenziale degli attori privati (la Crew Dragon è stata lanciata con il vettore Falcon 9 di SpaceX) e la crescente competizione internazionale anche oltre i confini dell’atmosfera. Non a caso, privatizzazione e militarizzazione sembrano essere i due elementi dello spazio del terzo millennio, connotazione evidente con l’impronta che l’amministrazione targata Donald Trump ha dato alla politica spaziale americana (basti pensare al National Space Council o alla Space Force).
LA MISSIONE “SPAZIALE” DI GIORGETTI
Si inserisce in questo contesto il focus spaziale della missione Usa di Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio che Giuseppe Conte ha delegato per la gestione della politica spaziale nazionale, compresa la presidenza del nuovo Comitato interministeriale insediato a palazzo Chigi. Negli States, Giorgetti ha incontrato il segretario del National Space Council Scott Pace, ma anche il senior vice presidente di Space X Tim Hughes e il ceo e presidente di Virgin Galactic George Whitesides. La società di Richard Branson, un altro miliardario che ha puntato sullo Spazio, ha da tempo prospettive di collaborazione più che concrete anche per l’Italia, con un intreccio di accordi che la lega allo sviluppo dello spazioporto di Taranto-Grottaglie. Negli scorsi mesi, Agenzia spaziale italiana (Asi), Altec e Sitael hanno firmato una serie di intese nell’ambio del volo suborbitale, comprese quelle relative alla costruzione dello spazioplano SpaceShipTwo che volerà dallo scalo pugliese.