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Come l’Italia anche il summit Macron-Merkel-Juncker con Xi è uno schiaffo agli Usa

coronavirus, Li Wenliang

Stiamo attraversando un periodo storico soggetto a grandi trasformazioni, in cui gli Stati stanno riemergendo in tutta la loro forza e influenza, contrariamente a quanto si pensava fino a qualche anno fa.
Le grandi potenze, Usa e Cina in primis, si stanno affrontando su diversi terreni, tra i quali il campo degli investimenti e della tecnologia sono certamente prioritari. L’Italia è, in questo momento, al centro dell’attenzione da parte di entrambe le potenze vista la decisione del governo italiano di firmare del Memorandum of Understanding (MoU) con la Cina rispetto alla Belt and Road Initiative, proposito curioso vista la passata opposizione al raggiungimento di un accordo sul Ttip, il Trattato di partenariato transatlantico tra Usa e Ue che non ha visto la luce.

Leggendo il testo del paragrafo 2 del MoU, non si può non notare l’intenzione di stringere una partnership strategica forte con la Cina, con l’idea di “aprire le porte” agli investimenti cinesi in settori strategici quali infrastrutture – porti innanzitutto, reti, telecomunicazioni, tutti comparti estremamente sensibili e su cui si gioca buona parte della sovranità italiana.

Gli accordi specifici firmati con i porti di Trieste e Genova da parte di China Communication Construction Company mostrano plasticamente la volontà cinese di assumere influenza sulle reti di trasporto italiane, punto nodale per avere un accesso privilegiato al Mediterraneo.

All’interno del testo si possono leggere tra le righe anche alcune critiche all’approccio politico del Presidente Trump (punto 3 del paragrafo 2 “Le Parti ribadiscono la comune volontà di favorire un sistema commerciale e di investimenti libero ed aperto, contrastare squilibri macroeconomici eccessivi e opporsi all’unilateralismo e al protezionismo”), segno che le azioni diplomatiche e politiche di Pechino sono state recepite nell’accordo.

A ciò aggiungiamo la grande capacità cinese di influenzare i media italiani con una terminologia positiva e “empatica” come “Nuova Via della Seta” e “Panda Bond”, parole che nascondono invece un profondo significato politico ed economico, da non sottovalutare.

Questo accordo non ha, perciò, solo una valenza commerciale come affermato da alcuni esponenti governativi, ma – alla luce dei temi affrontati – assume un carattere politico e simbolico molto forte, motivo per cui le reazioni americane sono state improntate allo scetticismo sui vantaggi derivanti dalla firma del MoU, come dimostrato dalle dichiarazioni rilasciate dall’inviato speciale Elliott Abrams.
È positivo che il governo italiano abbia avuto una prima seria riflessione, procedendo saggiamente a rafforzare la Golden Power a tutela degli asset strategici, con l’auspicio che essa venga esercitata allorquando si ponesse la necessità di difendere il patrimonio industriale, strategico e di sicurezza nazionale italiano.

Quel che non possiamo non riconoscere è che per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando gli Usa aiutarono il processo di ricostruzione italiano con il Piano Marshall, viene messa in discussione la solidità dell’alleanza Italia-Usa che da sempre è stato una delle stelle polari della nostra politica internazionale.

La firma di questo accordo non solo potrebbe cambiare la rotta della politica estera italiana – spostandola da Occidente a Oriente – ma metterebbe in dubbio la possibilità di attrarre ulteriori investimenti americani nel nostro Paese, elemento fondamentale per poter accelerare la ripresa dell’economia italiana. Le ripercussioni in termini politici, di reputazione e di attrattività nei confronti degli Usa, dei nostri alleati e degli investitori internazionali rischiano di essere pesanti, con la possibilità di indebolire e isolare il nostro Paese all’interno dei consessi internazionali.

Sull’accordo tra l’Italia e la Cina l’Unione Europea ha mostrato perplessità, in una fase in cui è impegnata a definire un meccanismo di controllo degli investimenti esteri, stile Cfius americano, a tutela degli asset strategici europei.

La stessa Unione Europea, tuttavia, continua ad apparire indecisa sui rapporti commerciali con gli Usa, come dimostra il voto negativo espresso dal Parlamento Europeo in merito alle discussioni in corso tra Usa e Ue per un nuovo accordo commerciale che possa ampliare gli scambi e gli investimenti.

Al contrario, l’urgenza con cui è stato convocato un vertice a Parigi tra il Presidente Xi Jinping e la triade Macron, Merkel e Juncker in vista di un accordo Ue-Cina, appare sia come un ulteriore cedimento al rivale cinese e uno schiaffo agli Stati Uniti.

Oggi più che mai è necessario rafforzare i legami con gli Stati Uniti, costruendo iniziative di collaborazione che portino nuovi investimenti nel campo delle infrastrutture – elemento prioritario per l’Italia –, delle telecomunicazioni, della difesa, tutti settori nei quali gli Usa non possono che essere il nostro interlocutore principale.

Come American Chamber of Commerce in Italy siamo convinti che l’Italia, Paese fondatore della Nato e membro del G7, non possa mettere in discussione la sua alleanza storica con gli Usa per favorire un accordo che da un lato funge da porta d’ingresso principale della Cina in Europa e che dall’altro porterà alcuni benefici alle nostre imprese, ad oggi stimati in 2,5 miliardi di euro come riportato dal ministro Di Maio, pagando però un prezzo potenzialmente troppo alto.

Il nostro futuro è al fianco degli Stati Uniti, un Paese che si è sacrificato per la nostra libertà come testimoniano il Cimitero americano di Nettuno e il Florence American Cemetery and Memorial, simboli di un’alleanza cementata nelle sofferenze e nella speranza per un futuro migliore.

Seneca diceva che “In tre tempi si divide la vita: nel presente, passato e futuro. Di questi, il presente è brevissimo; il futuro, dubbioso: il passato, certo”, sta a noi non tradire questa certezza.


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