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“ Un segno nel margine a sinistra e doppio segno a destra” : Le annotazioni di Guido Gozzano

Un’indagine molto bene approfondita condotta da Luciano Bossina in “ Lo scrittoio di Guido Gozzano da Omero a Nietzsche” per Leo S. Olschki ci apre lo “studio” del poeta torinese Guido Gozzano.
Chi entra nello studio -“officina” di un poeta muove i suoi passi felpati con rispetto, “non giudica, semplicemente ammira” parafrasando un’affermazione dello stesso Gozzano, il quale si pone con disincanto e umiltà nei confronti della realtà a lui contemporanea, con sereno distacco e “chiaroveggenza” , con l’audacia degli appassionati e dei bibliofili, dei desiderosi di erudizione che vincono il pudore dei propri limiti conoscitivi.
Si entra nell’officina di un poeta della società borghese crepuscolare che affronta lo sgomento del proprio presente con una pungente e viva ironia, con la quale ripercorre l’antico attraverso la poesia moderna , creando una dimensione parallela e un rifugio da dove osserva e si estranea dalla realtà, trasformandola in una sorta di museo vivente .
Quali sono i modelli, quali sono i testi sulla scrivania di Gozzano, le letture che lo appassionano?
Bossina si siede allo scrittoio e apre i libri, legge attentamente le annotazioni a margine, ripercorre a ritroso le tracce, si ferma sugli stralci “letti ad alta voce” dall’autore, approfondisce i temi amorosi o burleschi, i drammi rintracciati nei libri antichi che gli restituivano l’arte della poietica e la fiducia nutrita nel ricreare quell’arte, il filo logico sotteso.
Bossina prova a catturare l’ eco di una grecità classica , le “assonanze” che si rincorrono nel lessico poetico forgiato da Gozzano attraverso il “plagio” di opere classiche e dei poeti e dei pensatori antichi.
Il solito rimprovero che si muove al poeta Gozzano è quello di essere stato un lettore – arrangiatore di terza mano delle fonti e delle citazioni, un ricercatore di testi non originali, di aver usato una poesia dotta , spogliata e travestita di vocaboli tradotti, di rivestimenti e immagini filtrate e usurate.
Questa dotta e attenta ricerca ci permette di individuare nei versi Gozzaniani le vere sembianze di Cocotte o di Totò Merumeni, le antiche sembianze di Circe e di Odisseo nelle fattezze dei moderni ritratti , ci permette uno studio esegetico dei prestiti e una ricerca etimologica delle parole che riconduce alle più autentiche somiglianze di Gozzano quale “punitore di se stesso”, capace di andare incontro alla morte, sorridendo come fa il saggio che ordisce una “chiaroveggenza continua di se stesso” per la quale sa governare le sue passioni, vincendo anche la paura della sofferenza e della morte.
E’ un richiamo continuo a modelli classici come Omero, Ovidio, l’ Antologia Palatina, la Rassegna latina, Dante, Petrarca attraverso fucine altrui e quindi D’Annunzio, Pascoli, Carducci un richiamo che Marziano Guglilminetti ha potuto identificare quasi in un suo “istinto robustamente predatorio”, il quale, nel suo ‘studio appassionato e confuso ‘ ha prodotto due dimensioni originali: la fuga nel tempo e il soggetto ritrattistico.
Si trattò per Gozzano di “curare” il proprio demone socratico, superando le inadempienze scolastiche, e riscattandole facendosi condurre dagli autori “moderni” nelle biblioteche antiche, dove incontrare gli autori ed il loro Pensiero tradotto da moderni poeti ed eruditi narratori.
Ecco che la sua poesia neoellenica-parnassiana passa dai filtri dell’Albo dell’ Officina, a Le Mariage De Loti, agli echi cubani di Heredia e si ritrova ai Tropici, muta nel tempo e nello spazio, sconfina nei paradisi perduti, trasborda di vascello in vascello e sbarca nell’isola che non c’è, negli orizzonti esotici dove piante ed animali attraversano le suggestioni positivistiche e darwiniste.
In questi orizzonti tutto ritorna all’umiltà primitiva, alla modestia dei giorni vissuti da Felicita, di colei che ama senza comprendere, senza conoscere Nietzsche, vivendo una vita semplice “ Tu ignori questo male che si apprende
in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti,
tutta beata nelle tue faccende…”.
Gozzano continuamente “preleva, innesta, prende in prestito, sminuzza, riscrive…” riuscendo infine a creare una nuova suggestione che è sì derivata da fonti di seconda e terza mano, ma del tutto originale attraverso una salda e propria volontà di obsolescenza che nel rimpasto supera il passato e si rigetta nel moderno e nella storia vissuta.
Bossina cerca di far risaltare la sua originalità e la sua reazione al passatismo rintracciando i nuovi contenuti plasmati nella volontà ferrea di un poeta e di un uomo che pur essendo preda della “Musa Tubercolotica” e instancabilmente impegnato in uno studio forsennato di “dotto spigolatore”, gli permetteva il raggiungimento di una “calma socratica” attraverso la quale poteva affrontare la paura della morte approdando alla “ gioia dell’esistenza”.
Molto presto Gozzano riconobbe una capacità pedagogica in quella ragione creativa che a sua volta lo poneva nella posizione di osservare serenamente la realtà.:
“ Il saggio deve mostrare in tutte le
avventure della vita, la serenità del buon
giocatore, l’innocenza gaia del fanciullo
che si diverte…”
Bossina cerca di dare un nome alle annotazioni adespote e di ritrovare le trame sotto ai fili di ordito con i quali Gozzano tesse e disegna gli affascinanti e incantevoli scenari di quella “ bella più di tutte l’ isola non trovata…”, di quel suo viaggio sofferto tra le “buone cose di pessimo gusto” che sono la metafora più schietta dell’esistenza tra lettere, corrispondenza agli amici, appunti dell’albo, annotazioni, sottolineature, libri sparsi sullo scrittoio .

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