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Usa vs Cina. Le tappe e tutte le cifre di uno scontro globale che l’Italia non può sottovalutare

Di Francesco Bechis e Rebecca Mieli

Nell’ambito di un imponente conflitto geostrategico ed economico tra Cina e Stati Uniti, la questione del 5G sta acquisendo un’importanza primaria, soprattutto per quanto concerne i presunti rischi alla sicurezza nazionale americana e dell’area atlantica. Oltre alle tensioni che circondano lo sviluppo della rete ultraveloce, negli ultimi mesi si sono sollevate anche numerosi voci circa i rischi della catena di approvvigionamento globale delle telecomunicazioni, in particolare dalle agenzie di intelligence americane, come la National Security Agency.

Questi dubbi circondano in primo luogo le compagnie di telecomunicazioni cinesi più importanti, ovvero Huawei e ZTE (la seconda di proprietà statale), le quali secondo quanto contenuto dell’articolo 7 della legge cinese sull’intelligence emanata nel 2007, hanno – come tutte le aziende – l’obbligo di fornire ai servizi segreti di Pechino qualsiasi informazione ottenuta nell’esercizio del proprio lavoro all’estero. Gli Stati Uniti in particolare temono una rete globale o in larga parte controllata dalla Cina, considerandola un forte rischio per la propria sicurezza nazionale e per quella dei propri alleati. In primo luogo, dopo la scoperta di alcune backdoor inserite dai produttori cinesi nelle supply chain di alcuni prodotti della Super Micro28, dal quale vengono assemblati devices di notissimi colossi tech USA, Washington ha accusato la Cina di perpetrare attività di spionaggio attraverso dispositivi tecnologici. Per questa ragione – a prescindere dallo sviluppo della rete 5G – le tecnologie hardware prodotte dai colosso tech cinesi sono state vietate da qualsiasi utilizzo istituzionale e governativo, nonché agli appaltatori governativi. Oltre alla questione dello spionaggio politico perpetrato attraverso backdoor, una delle maggiori critiche mosse all’affidabilità delle aziende cinesi nell’area delle telecomunicazioni è il fatto che il progetto della rete di nuova generazione collegherà centinaia di dispositivi contemporaneamente, andando senza dubbio ad aumentare le vulnerabilità degli stessi.

Il dibattito sta coinvolgendo progressivamente sempre più Stati, dai Paesi in via di sviluppo (che grazie ai bassi costi delle aziende cinesi hanno l’opportunità di abbracciare queste nuove tecnologie) fino alle grandi potenze mondiali, europee e non, interessate a proficue collaborazioni con la Cina, ma allo stesso tempo preoccupate per la propria sicurezza nazionale. Non sono da sottovalutare le remore statunitensi circa il traffico di dati sensibili che si ritroverebbero a viaggiare su una rete internet di progettazione cinese. Nei Paesi NATO (soprattutto Italia e Germania) queste preoccupazioni si accentuano a causa della presenza di basi militari e statunitensi e dell’Alleanza. Comunicazioni riguardanti informazioni militari o di intelligence potrebbero essere messe a rischio da una rete vulnerabile, un rischio che gli Stati Uniti (soprattutto secondo quanto dichiarato dal segretario di Stato Mike Pompeo) non sono intenzionati a correre e che si potrebbe tradurre nell’interruzione dei rapporti informativi tra funzionari militari e di intelligence.

L’approccio end-to-end della Huawei al 5G, ovvero quello per il quale l’azienda si propone di fornire sia componenti hardware sia software, rende l’azienda cinese attraente dal punto di vista del prezzo, ma problematica dal punto di vista delle vulnerabilità. A tal proposito, rientrerebbero nelle sue competenze anche aggiornamenti e patch attraverso il quale – anche tramite backdoor – la Repubblica Popolare potrebbe prelevare un imponente flusso di informazioni. Ciò potrebbe costituire un grosso problema, soprattutto dopo le numerose accuse di furto di proprietà intellettuale, spionaggio economico e industriale. Alcune nazioni occidentali si stanno trovando di fronte all’eventualità di implementare una tecnologia estremamente rilevante e invasiva tutta completamente ideata e gestita dalla Cina, e questa circostanza potrebbe tradursi in un prezzo da pagare in termini di sicurezza nazionale.

A tal proposito, attraverso la rete 5G, la Huawei potrebbe avere accesso anche ai dati sensibili di milioni di cittadini in tutto il mondo. La sicurezza dei dati e la privacy dei cittadini, altro grande pilastro della sicurezza dei Paesi occidentali, andrebbe a scontrarsi inevitabilmente – secondo i più critici – con la preponderanza assoluta della legge sull’intelligence cinese. Le aziende che – come Huawei – si faranno promotrici di una rete internet ultraveloce «Made in China», andrebbero quindi non solo a disporre della capacità di estrarre informazioni classificate nei confronti dell’Alleanza Atlantica e dei suoi Stati Membri, ma anche di dati e informazioni sensibili riguardanti la cittadinanza qualora richieste dai Servizi segreti cinesi.

USA VS AZIENDE CINESI

Sebbene con l’amministrazione Trump il pressing degli Stati Uniti per convincere i Paesi alleati ad escludere la Huawei e la ZTE dalla realizzazione della rete 5G sia notevolmente aumentato, già con l’amministrazione Obama le agenzie di intelligence americane avevano messo nel mirino le due aziende cinesi, accusate a più riprese di spionaggio e furto di proprietà intellettuale. Una prima avvisaglia si era verificata nel 2011, quando su pressione del Cfius (Comitato per gli investimenti stranieri negli Stati Uniti), organo incaricato di valutare l’impatto degli investimenti esteri sulla sicurezza nazionale, la Huawei aveva volontariamente fatto un passo indietro dall’acquisizione dell’azienda di server 3Leaf. Un anno dopo, nel 2012, un report della Commissione Intelligence del Congresso indagava sui legami fra le due aziende cinesi e il Partito Comunista Cinese, rinfacciando in particolare alla Huawei di aver rifiutato «di fornire dettagli sulle sue operazioni commerciali negli Stati Uniti, sui suoi accordi con l’esercito e l’intelligence cinese e di non aver dato risposte chiare sui suoi processi decisionali».

Lo scrutinio su Huawei e ZTE da parte del governo statunitense ha subito un’accelerazione durante il secondo anno di mandato della presidenza Trump. In un’audizione di fronte alla Commissione Intelligence del Senato nel febbraio 2018 sei alti funzionari, fra cui l’allora direttore dell’NSA Michael Rogers, il direttore del FBI Chris Wray, l’allora direttore della CIA Mike Pompeo e il direttore della National Intelligence Dan Coats hanno espresso preoccupazione per la presenza di Huawei e ZTE nel mercato americano delle telecomunicazioni. Wray ha sottolineato il rischio «di permettere a qualsiasi compagnia o entità di proprietà di governi stranieri che non condividono i nostri valori di guadagnare posizioni di potere dentro alla nostra rete di telecomunicazioni».

Tra gli elementi di preoccupazione citati dai vertici delle agenzie la Legge nazionale sull’intelligence cinese approvata nel 2017, che prevede espressamente il dovere per le organizzazioni e i cittadini cinesi di «sostenere, cooperare e collaborare al lavoro di intelligence nazionale»36. Accuse prontamente smentite dai vertici Huawei, che tuttavia hanno attirato l’attenzione dei legislatori. Nell’agosto 2018 il Congresso ha approvato, nell’ambito del più ampio Defense Authorization Act, un pacchetto di misure volte a vietare l’uso di dispositivi Huawei e ZTE per i dipendenti del governo federale e i suoi fornitori. È nel novembre del 2018 che il governo statunitense tiene i primi colloqui informali con rappresentanti dei Paesi alleati chiedendo di escludere le compagnie cinesi dalla fornitura della rete 5G. A destare particolare preoccupazione, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, la presenza dei cinesi nel mercato delle telecomunicazioni di Paesi alleati che ospitano basi americane come Italia, Giappone e Germania.


 

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