La scorsa settimana la stampa, come il Corriere, ha dato molto risalto alla imminente scadenza della legge sulle “quote di genere” nei consigli di amministrazione (Cda) del 2008. L’ appello per rinnovare la legge Golfo Mosca, dopo i 3 mandati, viene da donne e uomini leader di azienda come la presidente dell’Enel Patrizia Grieco e Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo. Si avverte il bisogno di più tempo perché lo scopo della legge sia raggiunto appieno e il cambio culturale diventi un principio naturale. Di donne ai vertici, infatti, nelle aziende europee ce ne sono davvero pochissime. Eppure — e qui c’è il paradosso — le imprese che mettono in campo politiche per l’inclusione e la promozione della diversità sono moltissime. Addirittura il 98% nel mondo, secondo una ricerca di Boston Consulting Group sulle quote di genere pubblicata lo scorso 24 febbraio. Anche in Italia, il 97% delle imprese ha adottato politiche a favore delle donne, ma quelle che ne hanno beneficiato sono appena il 29%. Ma se il talento non è gender specific rinunciare ai talenti delle donne è un autogol per le imprese.
LO STUDIO
Non stupisce quindi, che ciò sia confermato da un nuovo studio “Women, Leadership and the Priority Paradox”, condotto dall’Ibm Institute for Business Value con l’Oxford Economics, che rivela come il global gender gap lavorativo continua a persistere. Dall’indagine condotta su un campione di 2.300 dirigenti e professionisti di aziende di diversi settori in tutto il mondo – in un numero uguale di donne e uomini – emerge che le organizzazioni non attribuiscono una priorità formale all’avanzamento delle donne in ambito lavorativo, e fornisce una guida su come promuovere il cambiamento. La ricerca è stata realizzata attraverso una serie di interviste individuali con dirigenti e professionisti dei sei continenti, oltre al classico questionario qualitativo.
I 3 FATTORI CHIAVE
Il rapporto ha rivelato come all’interno delle organizzazioni censite solo il 18% di donne ricopre attualmente posizioni di responsabilità, dato riconducile – per i ricercatori – a tre fattori chiave. In primo luogo, manca la percezione del relativo valore commerciale, infatti il 79% degli intervistati ha dichiarato che non ha formalmente dato priorità all’eguaglianza di genere nelle posizioni di responsabilità all’interno della propria organizzazione – anche se ampie evidenze la mettano in relazione con un miglioramento del successo finanziario e del vantaggio competitivo -. Inoltre, gli uomini sottostimano la portata del gender gap nel proprio ambito lavorativo, prendiamo, per esempio, il 65% dei dirigenti uomini intervistati, per i quali è altrettanto probabile che sarebbero stati promossi anche se fossero stati donne, nonostante il basso numero di donne che ricopre attualmente posizioni analoghe alle loro. Da ultimo, è assente il senso di urgenza o di responsabilità su questa questione. Le aziende si basano troppo sulle “buone intenzioni” e utilizzano l’approccio del laissez-faire nei riguardi della diversità, piuttosto che applicare metodologie disciplinate nell’esecuzione operativa come in altri ambiti aziendali.
IL DATO POSITIVO
Nonostante questi ostacoli, emerge un dato positivo dal report: il 12% del campione totale, un insieme di organizzazioni, soprannominate “First Movers”, si distingue, in effetti, per l’impegno nel conseguimento di un’eguaglianza di genere nei ruoli di leadership. Queste organizzazioni condividono, infatti, caratteristiche e valori che promuovono un ambiente più inclusivo e forniscono un esempio di come generare progresso sotto tre profili. Vogliono realmente la gender inclusion, considerando una priorità la presenza di donne nei ruoli di leadership. Sono motivate dall’idea di migliorare finanziariamente, convinti del fatto che le aziende più inclusive abbiano un maggior successo finanziario. Infine, riconoscono che è loro responsabilità agire per ottenere la parità di genere sul posto di lavoro attraverso cambiamenti impattanti. Nonostante la maggioranza delle altre aziende sia comunque in accordo, i First Movers sono il 29% più attivi nell’agire.
LE MISURE PER DIMINUIRE IL DIVARIO
Lo studio fornisce, infine, indicazioni sui passi necessari a creare una cultura che promuova l’equità di genere sul posto di lavoro. Le aziende che vogliono generare cambiamento devono implementare iniziative concrete che impattino direttamente sugli obiettivi di rendimento e incentivo, ad ogni livello dell’organizzazione. Quanto alle misure specifiche, lo studio definisce una roadmap per il cambiamento, partendo dalla necessità di rendere la parità di genere una priorità di business, inserendo l’avanzamento di carriera per le donne all’interno del proprio business plan ufficiale, con Key Performance Indicators (KPIs), budget e risorse assegnate, affidando a uno o più senior executive la guida del processo. L’inclusione — dice la ricerca — passa di qui, prima attraverso l’istituzione di programmi che supportino opzioni di lavoro più flessibili e iniziative ufficiali a sostegno, poi bisogna creare una “cultura d’inclusione”, inserendo la parità di genere all’interno della mission aziendale, prendendo esempio dall’esperienza maturata dai First Mover. Infine, tra le misure che non possono mancare bisogna rendere la leadership responsabile per i progressi sulla parità di genere, fino a renderla una priorità chiave per il business. Qui – e questo rappresenta il vero valore aggiunto – il consiglio di amministrazione può svolgere un ruolo centrale, inserendo questo passaggio tra le proprie responsabilità verso la crescita del business.
IL COMMENTO DI IBM
“Durante lo scorso anno l’attenzione del mondo verso i temi relativi alla diversità è cresciuta, e ora i vantaggi competitivi che derivano dal lavoro dei team inclusivi sono ben documentati”, ha dichiarato Michelle Peluso, vicepresidente senior Digital Sales e Chief Marketing Officer. “È importante ora passare dall’inclusione come opportunità interessante a necessità imperativa, proprio come vengono trattate altre priorità legate al business”. “Dai First Movers abbiamo appreso l’importanza nel definire obiettivi misurabili e nell’impostare un approccio sistematico allo sviluppo della carriera di una persona. Questo significa in ogni step: dall’assunzione al riconoscimento economico, allo sviluppo, alla fidelizzazione e alla promozione delle donne. Una volta indirizzato tutto ciò, bisogna continuare ad essere responsabili del raggiungimento del risultato”, ha aggiunto la Peluso.
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