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Il poker della Madonnina: Bonomi, Cairo, Sala e Salvini (in ordine alfabetico)

“Milano vicino all’Europa” (Lucio Dalla, 1979), Milano e il suo rapporto odi et amo con la politica. Milano mai democristiana e mai comunista, ma semmai laica e socialista.

Milano che è stata Cuccia, Craxi e Berlusconi, ma anche Montanelli e il cardinale Martini.

Oggi la città guarda con evidente soddisfazione ai propri successi, al proprio essere l’unico posto d’Italia in cui non sembra di stare in Italia, alla propria forza economica (e sociale e culturale) “santificata” con l’Esposizione Universale del 2015.

Milano amministrata dal più importante sindaco d’Italia di sinistra, però anche Milano culla dell’attuale numero uno della politica nazionale, ministro e leader della Lega.

Città di numeri, città che non perdona le chiacchiere a vanvera, città che cambia nell’Italia immutabile, stantia, moribonda.

Ebbene in quest’Italia incazzata nera (il colore non è casuale), con milioni di elettori/cittadini furibondi perché esclusi, impoveriti, marginalizzati e spesso (pure) raggirati (dalle banche e non solo), è esplosa la protesta politica, che ha trovato innanzitutto nel M5S uno sfogo non solo comprensibile, ma per molti versi giusto, sacrosanto, liberatorio.

E allora via con Quota 100, via con il reddito di cittadinanza, via con il repulisti eletto a regola di buona amministrazione.

Però la politica è una brutta bestia e governare un’arte difficile, anzi difficilissima, al punto che forse, ma proprio forse, l’ha capito anche il “Dibba”.

C’è Bruxelles che mette i veti, ci sono le agenzie di rating, c’è la magistratura che ti arresta gli amici, c’è la Corte dei Conti che blocca, ammonisce, sanziona.

E poi c’è la Banca d’Italia che vuole fare come le pare, c’è l’Eni che è uno Stato nello Stato (e per fortuna), c’è persino il Garante della privacy che ti manda una multa (siamo così alla stretta attualità).

Per non parlare della scena internazionale: appena fai una mossa verso Pechino a Washington strillano come aquile, appena ti distrai un attimo in Libia ecco che i francesi (alleati del tutto teorici su ogni dossier) si comportano come il tuo peggiore nemico.

Insomma governare è un gran casino, figuriamoci se l’economia non gira.

Già l’economia italiana, con quel segno “meno” davanti a tutto che sembra la costante di questo periodo: meno Pil, meno lavoro, meno soldi.

Ma se l’economia è la questione più importante ecco che Milano diventa subito protagonista.

Perché solo a Milano (quindi al nord) i numeri sono un problema: da Roma in giù l’Italia vive sostanzialmente slegata dalle dinamiche economiche nazionali.

Ecco allora qualche fatto nuovo, qualche voce più forte, qualche primo segnale di quello che verrà.

Mentre il governo gialloverde guarda al 26 maggio per capire se e come andare avanti (Salvini e Di Maio dicono che dureranno altri quattro anni, ma in compenso passano l’intera giornata a tirarsi le orecchie a vicenda) a Milano succedono cose di cui occorre tenere conto.

C’è infatti un leader degli imprenditori (Carlo Bonomi) che da mesi azzecca tutte le dichiarazioni, tutte le parole, tutte le prese di posizione.

Insomma il candidato naturale alla guida di Confindustria (si voterà l’anno prossimo), ma innanzitutto un uomo d’impresa che ha già dimostrato di saper diventare un punto di riferimento ben oltre la sua associazione.

E poi c’è Urbano Cairo, sempre più tonico nelle sue uscite pubbliche (si veda quella di ieri a Brescia con il premier Conte), interprete “naturale” di quella voglia di fare (con successo) che condensa un po’ tutta la milanesità di oggi, capace di ereditare anche la versione anni ’80 del Cavaliere innervandola però di una contemporaneità che Berlusconi non riesce più ad interpretare.

Infine c’è (ovviamente ma graniticamente) il sindaco Sala, che oggi si batte per le Olimpiadi invernali ma che certamente guarda anche più avanti (e più lontano).

Sia chiaro: Milano è casa loro, di tutti e tre insieme e di ciascuno di loro individualmente, ma Milano è anche casa di Salvini, senza ombra di dubbio.

Siccome però sul fonte economico le cose non vanno bene ecco che a Milano si alza (prima che altrove) la voce dello scontento.

E, guarda caso, Bonomi, Cairo e Sala con i numeri hanno una certa dimestichezza.

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