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È bastata una mezza frase di Mara Carfagna per l’anteprima dello sfaldamento di Forza Italia

carfagna

Un tempo bastava una parola di Berlusconi per sopire le rivalità interne a Forza Italia. Oggi quelle rivalità sono coperte solo da un sottile velo di ipocrisia. Le elezioni europee, con l’ex Cavaliere capolista in quasi tutte le circoscrizioni, saranno sicuramente chiarificatrici su quel che ne sarà del partito in futuro. Se esso andrà al di sotto del dieci per cento, lo sfaldamento è un’ipotesi più che probabile: le diverse anime che lo compongono si contenderanno le spoglie in un duello cruento e l’ex Cavaliere, che generosamente si è messo ancora una volta personalmente in gioco, uscirà logorato dalla prova elettorale. Purtroppo è uno scenario molto verosimile, che ieri Mara Carfagna, con una mossa a sorpresa, ha anticipato.

A liste praticamente chiuse e a sole ventiquattro ore dal temine della loro consegna in Corte d’appello, la vicepresidente della Camera dei deputati, facendo seguito alla provocazione di due uomini a lei fedelissimi (Occhiuto e Russo), si è detta disponibile a candidarsi. A poco è valso aggiungere che lo avrebbe fatto solo se il partito lo avesse richiesto: le sue parole hanno spezzato il fragile equilibrio interno fra le varie componenti e fra i vari leader. Esse sono suonate come una presa di distanza dal modo in cui Antonio Tajani e pochi altri hanno gestito la compilazione delle liste elettorali e come un’ipoteca sui futuri equilibri del partito. L’impressione però è che il problema di fondo di Forza Italia, che la mossa di Carfagna ha contribuito a far risaltare, è che essa non ha più un’anima e quindi un appeal per gli elettori.

Carfagna vorrebbe che il partito si collocasse decisamente al centro, anzi in un centro che guarda a sinistra: attento ai diritti civili, persino quelli delle “minoranze” organizzate, e appiattito sull’europeismo di maniera delle forze che dominano a Bruxelles e a Strasburgo. Agli antipodi delle sue posizioni c’è Giovanni Toti che è il suo avversario nel partito, il quale vorrebbe che Forza Italia stringesse sempre più un patto con la Lega e Fratelli d’Italia diventando la terza gamba di un rinnovato centrodestra a trazione leghista. Personalmente, ritengo però che la posizione giusta per ridare un’anima a Forza Italia sia una sorta di terza via. Nonostante il fatto che illustri politologi continuino a dire che in un sistema proporzionale c’è necessità di forze che occupino il centro, io credo che questa sia una battaglia perdente.

Il centro non è occupabile con profitto semplicemente perché oggi gli elettori vogliono dai politici, non solo in Italia, risposte semplici e radicali (seppure su problemi concreti e non palingenetici come facevano le vecchie ideologie). Non è detto, fra l’altro, che prima o poi la legge elettorale non sia di nuovo cambiata dalle forze oggi alleate al governo ma che in futuro probabilmente si separeranno. C’è perciò necessità di una destra o un centrodestra uniti, in cui Forza Italia si potrebbe ritagliare uno spazio relativamente autonomo e consono con la sua tradizione. Che non è mai stata quella di porsi di petto contro le richieste della maggioranza dei cittadini, ma di assecondarle e filtrarle, cioè detto in altre parole di assumere in dosi omeopatiche le spinte “populistiche” che emergono dal corpo elettorale.

A ben vedere, Berlusconi è stato il primo e insuperato “populista”. Vederlo quindi affermare, come ha fatto, che non capisce più gli italiani, o che gli italiani sbaglino nel dare consensi alle forze di governo, fa un certo effetto. Di Forza Italia ci sarebbe poi anche bisogno per dare maggiore rappresentanza e consistenza a quell’ala più liberale e borghese di un centrodestra che a volte confonde il (giusto) “sovranismo” con lo statalismo.

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