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Il “caso” social dell’Inps? Una lezione preziosa

“In linea con quanto previsto dalla netiquette e dalla social media policy della pagina e in considerazione del grande interesse e impatto del reddito di cittadinanza e di altre misure a favore della famiglia, risponderemo solo a commenti inerenti agli aspetti tecnici delle prestazioni erogate da Inps. Cogliamo l’occasione per scusarci con quanti possano essersi sentiti toccati od offesi da alcune nostre risposte”: con questo post la pagina Facebook “Inps per la Famiglia” ha messo la parola fine a una singolare vicenda che ha tenuto banco sui social e sui giornali. La pagina, messa a disposizione dall’Istituto per dialogare con i cittadini, era stata, infatti, letteralmente inondata da commenti, domande, accuse e richieste di aiuto, con un impatto sul gestore della pagina che, evidentemente, non era stato debitamente considerato. Il social media manager della pagina, bersagliato da richieste riguardanti, soprattutto, il reddito di cittadinanza, ha cominciato a rispondere con messaggi via via più pepati, scatenando l’ilarità in rete. Scorrendo il botta e risposta sulla pagina non si può fare a meno di sorridere ma quanto è successo mette sul piatto, senza dubbio, il tema della gestione della comunicazione social delle pubbliche amministrazioni. Potrebbe dirsi, anzi, che ci troviamo davanti ad un caso di scuola, che merita un’analisi attenta per capire quali siano le coordinate entro cui l’azione social pubblica possa o debba muoversi. Intanto, sappiamo che non si parte da zero: è disponibile on line la seconda edizione del volumeSocial media e PA, dalla formazione ai consigli per l’uso- Il primo libro in progress della nuova comunicazione pubblica”, aggiornato a gennaio 2018 e realizzato dal Formez. Il libro, liberamente scaricabile, collaziona contributi di docenti ed esperti che, con taglio operativo utile per gli operatori, illustrano le caratteristiche dei principali social, chiarendo opportunità e problemi derivanti da un utilizzo professionale di questi strumenti all’interno delle amministrazioni pubbliche. Scorrendo il volume, che dovrebbe essere lettura obbligatoria per dirigenti e funzionari delle PPAA, indipendentemente se operino o meno nel settore della comunicazione (la PA deve o non deve aprirsi ai cittadini?), emerge, fra i tanti aspetti trattati, quello relativo all’importanza di regole chiare e trasparenti, ovvero perché e come un’amministrazione si pone verso l’utenza in rete attraverso un canale social, la cosiddetta social media policy (SMP): essa, infatti, “consente una corretta gestione del profilo dell’ente sui social network e riduce il rischio di critiche e contenzioso”, così da “rendere chiara e trasparente la fruizione dei social e consente di arginare i problemi che potrebbero nascere con gli utenti e con i dipendenti. Poter far riferimento a principi e criteri stabiliti sin dall’inizio rende più agevole l’uso corretto dei nuovi mezzi di comunicazione e la gestione delle critiche. Aver chiare le regole e comunicarle è un passaggio cruciale in qualsiasi ambito, ancor di più se ci si muove all’interno di processi comunicativi complessi, in cui diventano fondamentali le dinamiche relazionali, il tempo reale e l’interazione costante fra emittente e ricevente”. Insomma, cristallino. L’INPS, da questo punto di vista, fa scuola: da sempre all’avanguardia in materia di ICT, ha pubblicato le regole che si è dato in materia, precisando che “non esistono tempi minimi o massimi di risposta e che le stesse vanno intese come informazioni di primo livello ed elementi di facilitazione all’accesso ad altri canali informativi come contact center, servizio INPS Risponde, Uffici relazioni con il pubblico, ecc. Tali risposte non possono, dunque, sostituire quanto indicato nelle schede informative pubblicate sul portale INPS o essere considerate esaustive”. L’Istituto precisa, inoltre, che “non è possibile, attraverso un social, accedere ai dati dell’utente o alla sua pratica personale. In conseguenza di ciò e per evidenti ragioni di tutela della privacy, non potranno essere trattati casi personali relativi a prestazioni pensionistiche, previdenziali o assistenziali, ma saranno fornite e ribadite informazioni generali di interesse comune che rinviano ai contenuti del sito”. A voler essere fiscali, dunque, ritornando alla vicenda da cui si è partiti, potrebbe dirsi che taluni dei cittadini non abbiano osservato la netiquette dell’Istituto e che, in qualche modo, se la siano cercata. Tutto bene? No, ovviamente non funziona così: anche se alcuni dei frequentatori della pagina non hanno rispettato le regole di accesso ed utilizzo, due aspetti vanno tenuti presenti. Il primo è che il cittadino ha (quasi) sempre ragione e che ha poco senso aspettarsi piena contezza dei rudimenti di cultura digitale quando siamo sostanzialmente all’inizio di una rivoluzione che potrebbe avere esiti al momento imprevedibili: se parliamo di cultura digitale c’è evidente necessità di formazione digitale e, per questo, serve tempo, soprattutto in un Paese tra i più anziani al mondo e nel quale ancora si fatica a percepire l’utilizzo della rete come interazione che di virtuale ha ben poco. Basti pensare, a questo proposito, alla vicenda che ha visto al centro di un utilizzo violento dei social l’ex Presidente della Camera Laura Boldrini. Il secondo punto, di converso, investe la scelta e la formazione di chi, nelle amministrazioni, gestisce i canali social di comunicazione con la cittadinanza. Non si tratta, come è ormai evidente, di un’attività part-time, da seguire solo dopo che si è finito di fare cose più importanti, ma di un’azione amministrativa che qualifica l’ente, il dipartimento o il Comune verso l’esterno. Non si sa esattamente cosa sia accaduto nel caso di specie: quel che è certo è che, ironie a parte, trovarsi a moderare più di diecimila commenti in due giorni non è una passeggiata per nessuno. Molti, peraltro, hanno ottenuto in maniera corretta le informazioni cui avevano bisogno. Questo non può e non deve assolvere un comportamento che, comunque, si è rivelato poco istituzionale e talvolta poco rispettoso dell’utente. Anche un passo falso, tuttavia, è talvolta un passo avanti: quel che appare evidente è che tutte le parti hanno dimostrato di avere qualcosa da imparare e che siamo solo alle prime fasi di un cammino che dovrà necessariamente trasformare in profondità il modo in cui il pubblico serve la collettività. Una lezione di cui far tesoro, insomma. Uno dei grandi problemi dell’amministrazione pubblica (italiana e non solo) è, infatti, quella di vivere una sorta di permanente bipolarismo: dipendenti di un’organizzazione che fa delle regole e della puntuale normazione la sua ragion d’essere da un lato e cittadini che vivono, fuori dagli uffici, ad alta velocità digitale, dall’altro. Comporre questo iato fra due esigenze egualmente importanti rappresenta una delle sfide fondamentali del fare azione pubblica. E, sappiatelo, non sarà a costo zero.

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