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Russia e Cina puntano sull’export militare in Medio Oriente. Le preoccupazioni Usa

Russia, putin

Campanello d’allarme sull’export militare a Washington. Dagli States si susseguono le apprensioni di esperti e addetti ai lavori, preoccupati di perdere opportunità commerciali e peso politico soprattutto in Medio Oriente, dove l’offerta russa e cinese si è fatta più pressante e competitiva. Da un paio d’anni la Cina ha inaugurato una base militare a Gibuti, non troppo distante da quella americana. Nel frattempo, gli alti investimenti nelle nuove tecnologie (tra droni e intelligenza artificiale) riducono il gap con l’Occidente e incrementano le prospettive di export. Seppur con meno risorse, la Russia sta aumentando gli sforzi per la promozione del suo S-400 per la difesa aerea in giro per il mondo, forte anche dell’ormai stabile presenza militare in Siria e del conseguente accresciuto peso mediorientale.

COME SI COMPETE CON L’EXPORT MILITARE

La vendita del sistema missilistico russo S-400 alla Turchia, con annessa ritorsione americana sullo stop alle forniture relative agli F-35, ha palesato la crescente competizione in atto tra le grandi potenze per la vendita di armamenti. Una sfida che si muove a colpi di vendite, contratti e accordi, e che si fa più accesa proprio in Medio Oriente, la regione con il più alto tasso di crescita dell’import nel settore della Difesa, sintomo di instabilità e incertezza crescenti. D’altra parte, lo ripetono da sempre gli esperti, la politica di difesa (compresa quella di export industriale) non è altro che una parte della politica estera. L’influenza cresce con i legami esportativi, aumentando il peso geopolitico e la capacità di proiezione. Lo ha capito con una certa convinzione anche Pechino, che da anni ha così deciso di portare avanti le ambizioni di super potenza pure attraverso il suo export militare.

I TIMORI USA

I report dei maggiori centri di ricerca mostrano tale trend, tanto da far lanciare l’allarme al Washington Post: “Russia e Cina puntano sull’offerta di armi in Medio Oriente”. Secondo l’autorevole Sipri di Stoccolma, nel 2018 Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno speso ciascuno 40 milioni di dollari in armamenti cinesi. Nulla, se paragonato agli accordi in essere con gli Stati Uniti, per cui basterà citare la lunga lista di intese siglate da Donald Trump a Riad nel 2017 per un totale di ben 110 miliardi di dollari. Eppure, a preoccupare Washington è il trend in crescita con cui il Dragone si è affacciato da tempo in Medio Oriente e nord Africa. Per l’Orso russo si tratta invece di una conferma. In entrambi i casi, il Pentagono ha già fatto emergere i timori per un possibile effetto a cascata, generato dall’impossibilità di vendere alcuni sistemi sofisticati a Paesi che utilizzano assetti russi e cinesi, sia per ragioni di interoperabilità, sia per gli spazi che si aprirebbero in termini di informazioni sensibili nelle mani di avversari. Il caso Turchia-F-35 ne è l’esempio più attuale e calzante.

L’ATTIVISMO EMIRATINO

Tra i Paesi che preoccupano maggiormente ci sono gli Emirati Arabi. La visita del presidente Xi Jinping dello scorso anno si chiuse con la firma di 13 accordi. Solo poche settimane fa, la cinese Norinco ha annunciato un piano di collaborazione con l’emiratina Igg, attiva nel campo della Difesa, per la creazione di una joint venture che si occupi di ricerca militare (pare soprattutto sui droni). Si prevede l’apertura di uno stabilimento ad Abu Dhabi, con la presenza di ingegneri e ricercatori cinesi. L’accordo è emblematico, anche perché gli Emirati rappresentano il settimo importatore di armi al mondo, con una quota di import del 64% coperto dagli Stati Uniti, per cui invece il Paese rappresenta la seconda destinazione di prodotti militari.

LE PREOCCUPAZIONI PER L’S-400

Lo stesso si può dire dell’Arabia Saudita, con cui Washington conserva un’alleanza tradizionale, per di più rafforzata dall’amministrazione Trump dopo le frizioni che con Obama si erano registrate per via dell’accordo sul nucleare iraniano. Qui, a preoccupare il Pentagono è l’attivismo russo. A metà febbraio, i media di Mosca a diffusione globale (Tass e Sputnik su tutti) hanno rilanciato l’avanzamento delle consultazioni per la vendita del sistema missilistico S-400, punta di lancio dell’export della difesa russo. Lo stesso sistema sarebbe di interesse del Qatar, restando al contempo al centro della diatriba tra Stati Uniti e Turchia, giunta ormai ai massimi livelli. Per quanto riguarda la Cina, le prospettive di export sono incrementate dall’avanzamento tecnologico del suo comparto industriale, con il gap nei confronti dell’Occidente ormai quasi del tutto colmato. Ne sono un esempio i segmenti della missilistica ipersonica e dell’Intelligenza artificiale, temi su cui negli Stati Uniti sono emerse da tempo apprensioni.

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