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Perché Forza Italia deve scegliere tra Carfagna e Toti

Forza Italia

Pur essendo segnalata in continuo calo nei sondaggi, saranno probabilmente le evoluzioni di Forza Italia a delineare i futuri assetti generali del sistema politico italiano. Come è noto, il partito è nella schizofrenica situazione di alleato della Lega nelle amministrazioni locali e di oppositore del governo a livello nazionale.

Le linee di frattura che attraversano il sistema sono infatti di diverso tipo: se dal punto di vista dei programmi politici Lega e Forza Italia sono sicuramente più vicine di quanto il partito di Matteo Salvini non lo sia con il Movimento 5 Stelle con cui governa a Roma, da un altro punto di vista è pur vero che la Lega ha saputo cambiare completamente pelle negli ultimi anni ponendosi come una forza di “cambiamento” e rottura. Ed è su quest’ultimo elemento che essa ha potuto costruire una entente cordiale con i pentastellati.

Il calcolo di Salvini è stato probabilmente finora quello di lasciar maturare gli eventi in modo da ridurre, da una parte, sempre più la voce a un vecchio ma ancora ingombrante Silvio Berlusconi, dall’altra, svuotare Forza Italia sia dal punto di vista dei voti sia da quello delle idee. Nonostante il forte aumento dei consensi leghisti, l’operazione non solo è riuscita solo in parte ma dimostra di essere molto più difficile di quanto fosse lecito immaginarsi.

È successo infatti che Forza Italia sia sì ormai scesa al 10% circa dei consensi fra gli italiani, ma il partito è rimasto molto compatto intorno a idee moderate difficilmente conciliabili con il radicalismo salviniano. Non era un esito scontato visto che il Cavaliere stesso si era sempre mosso, nella sua ormai lunga carriere politica, lungo il doppio crinale della moderazione e del “populismo”, alternando per così dire la carota al bastone.

È successo anche che Giovanni Toti, il governatore della Liguria vicinissimo a Salvini, sia stato isolato da un battagliero team composto da Mara Carfagna, Maria Stella Gelmini, Paolo Romani, e pochi altri, che ha preso praticamente in mano il partito. In sottofondo, la figura di Antonio Tajani fa da garante a livello europeo di questa svolta ipermoderata.

La candidatura di Berlusconi alle europee ha un doppio significato: non solo contribuisce a cementare il nuovo blocco di potere, ma eviterà forse un ulteriore tracollo elettorale. Pensare però di ritornare alle vecchie percentuali, è francamente velleitario. Tanto che questa delle europee si prefigura come l’ultima battaglia del Cavaliere, costretto comunque a cedere presto il partito ai suoi delfini. I quali, insistendo molto, come hanno fatto negli ultimi tempi ad esempio Carfagna e Stefania Prestigiacomo, sul tema dei diritti, proveranno forse anche a sfondare in un terreno riformista che il Pd all inclusive di Nicola Zingaretti ha lasciato alquanto libero.

“Dobbiamo differenziarci dalla Lega”, ribadisce stamane Gelmini in un’intervista al Corriere. Tutto sembra quadrare. Non c’è dubbio che la prospettiva di una forza di centro che si faccia ago di bilancia fra destra e sinistra possa essere allettante, ma che un paese sempre più radicalizzato la assecondi è tutto da vedere.

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