Il quotidiano cattolico Avvenire ha tracciato una sorprendente linea di intransigenza. Con il titolo durissimo Lo Stato asociale apparso in prima pagina di domenica 28 aprile, l’intervista senza sconti con il professor Stefano Zamagni e l’editoriale del direttore Marco Tarquinio dal titolo esplosivo “E’ guerra vera ma perderanno”, si è manifestata una voce potente di opposizione al governo giallo-verde.
Essendo la Chiesa italiana, per spirito e prassi concordatari, una forza cooperatrice allo sviluppo del Paese, è difficile immaginare uno scenario più complesso di quello manifestatosi in queste ore. Per ritrovare una fase altrettanto critica nei rapporti fra il mondo cattolico e il governo italiano bisogna tornare ai primi mesi del 2007, ben dodici anni fa. E in particolare a quel drammatico “non possumus” pronunciato dall’Avvenire guidato da Dino Boffo che interpretò la contrarietà della Conferenza episcopale italiana al provvedimento sulle unioni di fatto messo a punto dal governo guidato da Romano Prodi. Pochi mesi dopo, vennero il primo Family Day e il blocco della riforma dei cosiddetti Dico. E con essi il declino del governo. Furono comunque giorni difficilissimi, con la preoccupazione del mondo cattolico di agire sul confine sottilissimo dell’ingerenza negli affari dello Stato italiano se non addirittura del conflitto concordatario.
Oggi si viene manifestando una denuncia contro le misure adottate dal governo che appaiono agli occhi di tanti cattolici come punitive della solidarietà. É in gioco una gigantesca questione valoriale che tocca direttamente non solo la natura dell’impegno sociale cattolico, ma lo stesso Dna del popolo italiano da sempre considerato generoso. Un popolo oggi sollecitato, sulla base di nuove e vecchie paure, a farsi egoista. E che trova nello slogan leghista “prima gli italiani” la plastica rappresentazione di chiusura del cuore e delle menti.
La denuncia fatta dal professor Zamagni (padre dell’economia civile, promotore del Terzo settore e soprattutto presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali) circa la diffusione della “aporofobia”, cioè del disprezzo dei poveri, nella forma tipicamente italiana di “una guerra sociale scatenata dai penultimi nei confronti degli ultimi”, la dice lunga su cosa si muove nelle viscere del Paese. Il rovesciamento della stessa nozione di bene comune operata da alcune forze di governo, come acutamente osservato dal professor Leonardo Becchetti, è di per sé la spia di una drammatica emergenza culturale e valoriale che si sta consumando nel cuore del Paese. In gioco, come non mai, vi è una grande questione antropologica. É la stessa idea di persona che viene messa in discussione, mentre si svela un perfetto disegno politico.
É difficile, infatti, non intravvedere in questo attacco a tutto il mondo del Terzo settore l’atto finale di un processo di disintermediazione sociale che trova nelle due principali forze di governo (con diverse responsabilità, tempistiche e scambi di ruoli) solidi e convinti interpreti politici. Accomunati da una pulsione statalista che non vede salvezza al di fuori del perimetro dello Stato. Il che fa ritenere, a chi ora governa, che dei poveri si debba occupare solo lo Stato. Al punto da demonizzare chi si adopera per lenire il disagio sociale e le varie forme di povertà, sempre più spesso accusato (soprattutto da Salvini) di fare solo i propri interessi (vedi l’aggressione contro la Caritas via Facebook: “La mangiatoia è finita”).
Una propensione neostatalista ormai manifestatasi in tantissimi provvedimenti e declinata in una forma di assistenzialismo che preoccupa sia i sostenitori della forma mista di economia di mercato (pubblico-privato) sia i cultori dell’economia civile. I prossimi giorni saranno importanti per capire come si muoveranno le forze di governo e la postura che assumeranno dinanzi alla denuncia severissima del mondo cattolico. E sarà anche interessante capire come reagiranno le altre forze politiche. Sorprende, piuttosto, il silenzio dell’informazione italiana.
Delle due l’una: o la stampa italiana considera la questione sociale di oggi meno importante della questione delle unioni civili di ieri, oppure l’irrilevanza del cattolicesimo sociale ha raggiunto un punto di non ritorno. Complice magari la convinzione che l’opinione cattolica non smuova più le coscienze e che il voto dei cattolici sia diventato oggettivamente insignificante e comunque disponibile per tutti. A prescindere, dunque, dai programmi politici, dai loro interpreti e dai valori di riferimento.
Di sicuro possiamo dire che la coraggiosa sortita di Avvenire segnala il germe di una opposizione sociale. Quanto forte lo si vedrà. Che poi possa crescere al punto da far maturare una nuova opposizione politica nessuno può affermarlo con certezza.