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Con le loro liti, Salvini e Di Maio oscurano l’opposizione

“In Italia non c’è più un governo”, ha detto Nicola Zingaretti a latere del tumultuoso Consiglio dei ministri di ieri sera. Altri esponenti dell’opposizione gli hanno fatto eco e hanno parlato di uno “spettacolo indecoroso”, di “vergogna”, e via dicendo.

Non c’è da meravigliarsi: l’opposizione fa il suo mestiere, si indigna e protesta e, nel farlo, contesta ciò che, se fosse al governo, probabilmente perdonerebbe a se stessa. È la politica, con la sua dose di ipocrisia, promesse non mantenute, conflitti permanenti e sempre precariamente composti. Eppure, l’idea di una politica armoniosa e composta fa breccia fra la gente comune e anche fra il medio ceto intellettuale. Per non parlare dei giornali e degli altri mezzi di comunicazione. Al fondo c’è una idea che fa del politico che amministra una sorta di ingegnere o progettista: egli, mosso da un non mai ben definito “interesse comune”, si dovrebbe sedere attorno a un tavolo, vagliare con calma, decidere consapevolmente e in perfetta collaborazione coi suoi sodali. Ovviamente, è una immagine di comodo che balena, per abitudine, nelle nostre menti, forse anche in quella di chi la politica l’ha fatta e la conosce in tutti i suoi risvolti. Più realisticamente, la politica è, a tutti i livelli, conflitto, di idee e di interessi. Essi a volte vengono alla luce e altre volte restano occulti.

In questo momento, finita la “luna di miele” dei primi mesi, le due forze alleate nel “contratto di governo” i loro contrasti li stanno mettendo in scena spudoratamente (come è nella natura di forze giovani e vitali, “barbare” come dicono le “anime belle”). I conflitti non restano dietro le quinte e l’osceno va in scena. Non è un bello spettacolo ma sinceramente non rimpiango i vecchi Consigli dei ministri formali, ovattati, ove tutti fingevano ipocritamente di essere d’accordo su tutto e ove le decisioni erano state prese prima e in altre sedi. A quei tempi, che alcuni rimpiangono, la “lotta di coltelli” si svolgeva tutta nelle retrovie, salvo poi esplodere improvvisa e virulenta fino a far cadere i governi.

Certo, anche questo governo è a rischio di cadere: la corda, a volte, sembra davvero troppo tesa. Non mi sentirei però di parlare, come fa qualche commentatore, di un “gioco del cerino” fra i due vice ministri. È questa una categoria che aveva corso ai tempi della Prima Repubblica, quando in certe circostanze capitava che nessuno volesse assumersi la responsabilità di una crisi che però tutti volevano.

In questo momento invece, a mio avviso, quella crisi non la vogliono né i Cinque Stelle né la Lega. Ciò che queste due forze vogliono è differenziare e distanziare quanto più possibile le loro posizioni in attesa di alleanze più “naturali”, o di una molto difficile autosufficienza, di cui francamente non ci sono al momento le condizioni (e Dio ce ne scampi da un governo tecnico!).

Certo, il gioco è pericoloso e potrebbe scappare di mano ai due protagonisti, come dicevo. Intanto, però, i loro litigi catalizzano il dibattito pubblico e oscurano completamente le forze di opposizione. Le quali, legate a vecchi schemi e a vecchie idee, non sembrano in grado di spezzare il gioco a somma zero che vede protagoniste le forze politiche di governo.

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