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È il governo delle mediazioni, lo farà anche su Siri. Parla Becchi

paolo becchi

Il governo è arrivato al 25 aprile diviso e non solo sul significato di questa ricorrenza. La nuova stagione di conflittualità interna è generata da un lato dalla vicenda giudiziaria che ha coinvolto il sottosegretario ai trasporti Armando Siri, indagato per corruzione dalla Procura di Roma nell’ambito di un’inchiesta antimafia della Procura di Palermo. Dall’altro sono i problemi della capitale, dall’arresto di Marcello De Vito, presidente dell’Assemblea Capitolina, ai debiti della città eterna ad essere ragione di scontro tra le due componenti dell’esecutivo. Il tutto a poco più di un mese dalle elezioni europee.

Di questo, del futuro del governo e del significato, oggi, del 25 aprile ne abbiamo parlato del professor Paolo Becchi.

Ancora una volta un governo messo in difficoltà da vicende extra politiche. Secondo lei l’esecutivo gialloverde come sta gestendo questa crisi?

La magistratura sta di nuovo intervenendo pesantemente nella vita politica. L’abbiamo già visto con il tentativo di mettere sotto processo Salvini, sul caso Diciotti, mentre stava applicando una decisione presa collegialmente. Ora ha spostato il tiro accusando Siri di corruzione e rapporti con ambienti mafiosi sulla base di documentazioni che, fino a ora, mi sembrano discutibili, addirittura alcune intercettazioni riportare dai giornali in realtà non esisterebbero. Insomma un intervento della magistratura per bloccare questo governo. Ovviamente si attacca l’anello debole, Siri che, oltre ad essere l’ideatore della flat tax, è l’uomo che ha patteggiato una pena come bancarottiere ma questo appartiene al passato.

È possibile che il governo cada sul caso Siri?

No, il governo non cadrà sul caso Siri, ma andrà avanti per i prossimi 50 anni. Guardando la vicenda dal versante politico mi sembra evidente che da un lato vi sia un braccio di ferro tra le forze che compongono il governo, dall’altro il M5S sta utilizzando questa situazione per ricompattarsi intorno ai suoi valori fondanti. Un governo con il M5S non può avere al suo interno un membro anche solo sospettato di corruzione. Io però mi chiedo se la richiesta di dimissioni avanzata dal M5S sia ufficiale o meno.

Cosa cambierebbe?

Se fosse ufficiale, Siri dovrebbe andare a riferire in Parlamento la sua posizione e spiegare il perché delle sue mancate dimissioni. Non capisco perché Siri rilasci dichiarazioni ai giornali, ora pare che Salvini l’abbia fermato. Dandosi in pasto alla stampa, si è arrivati al paradosso delle dieci domande di Travaglio. In questo scenario manca la mano di Conte, non so cosa farà ma so che questo governo non cadrà sul caso Siri, troveranno il modo di far rientrare questa vicenda. Il rischio è che così facendo, perdano parte del grande consenso politico di cui ancora dispongono.

Secondo lei perché Siri non è ancora andato a riferire in Parlamento?

Perché stanno mediando. Questo, più di ogni altro, è il governo delle mediazioni. Lo fanno su tutto tranne che sui punti programmatici presenti sul contratto di governo come il reddito di cittadinanza e la legittima difesa, misure che vengono, invece, prese senza discutere. E la mediazione non si risolve nella produzione di politiche concertate ma in scarichi di responsabilità reciproci in base a quelle che sono le politiche caratterizzanti una parte o l’altra del governo.

Sul fronte M5S, invece, sono i casi romani come l’arresto di De Vito o i debiti del Comune di Roma a rendere la vita difficile all’altro braccio del governo.

Il caso De Vito dimostra, in maniera esemplare, che il M5S ha perso la sua verginità politica. Stiamo parlando di arresti domiciliari e non semplicemente di un’indagine a suo carico. De Vito rappresentava una fetta importante del Movimento, per un periodo era stato anche un potenziale candidato al Comune di Roma, insomma non è una seconda fila.

La risposta del M5S è stata “cacciare le mele marce”? De Vito, dal canto suo, ha evidenziato l’illegittimità del provvedimento.

E ha fatto bene. Se un domani dovesse andare davanti al giudice, questi gli darebbe ragione e il M5S sarebbe costretto a riammetterlo, come già avvenuto in altri casi. Comunque ormai è quasi acqua passata, è tornata agli onori della cronaca solo perché ha scritto una lettera.

Passiamo al decreto “Salva Roma”, la Lega non vuole che il debito pubblico assorba i 12 miliardi di debiti della Capitale. Questo significa che il Comune potrebbe dover aumentare l’Irpef fino a 6 volte per onorare il suo debito. Un’altra criticità per il M5S.

Quando la Raggi venne eletta al Comune di Roma io dissi che prendere la capitale poteva significare due cose: o la vittoria totale del M5S perché capace di amministrare una città impossibile come Roma, oppure la sua disfatta. Io credo che qualsiasi italiano, a prescindere dai suoi rapporti con il M5S e i miei sono noti a tutti, possa ritenere quest’esperienza governativa della città di Roma fallimentare. Ora mi sembra assurdo che tutti gli italiani debbano pagare i debiti di Roma. Cosa dovrebbe fare il governo, un decreto apposito per ogni città in dissesto?

Ma Roma è la capitale d’Italia, al netto degli sprechi, è normale che debba sopportare spese che le altre città non affrontano.

Certo, ma allora si potrebbe procedere facendo un decreto autonomo e non inserendo la norma Salva-Roma nel decreto crescita. E comunque anche in questo caso si sta dimostrando che la cifra di questo governo è la mediazione e l’attendismo. Questo modo di fare è sbagliato, perché quando si affrontano argomenti non presenti nel contratto i responsabili dell’esecutivo sfuggono, invece di prendere una decisione. E anche il modo in cui si approcciano al contratto non è di natura politica ma quasi come fosse un contratto di natura civilistica. I contratti politici non sono scambi do ut des ma mettono sul tavolo argomenti sui quali trovare un’intesa comune. Pensiamo alla legittima difesa: è chiaro che quel provvedimento presenti profili di incostituzionalità perché la proporzionalità ammessa è soltanto fittizia e tra i parametri c’è lo status psicofisico di chi ha sparato. Impensabile che un giudice applichi un criterio del genere. Tanto è vero che il presidente della Repubblica non ha ancora firmato la legge. E io queste cose le dico da sostenitore di questo governo.

Passiamo all’attualità più stringente. Oggi è 25 aprile e il governo è riuscito a dividersi anche su questo. Salvini andrà in Sicilia, Conte a Roma alle celebrazioni ufficiali, Fico in piazza, Romeo dice che non festeggia.

Le voci discordanti rappresentano un nuovo segno di divisione. Da qui alle Europee pensano che queste vicendevoli punzecchiature facciano aumentare i consensi? Io ho qualche dubbio e questo atteggiamento finirà, alla lunga, per danneggiare Salvini; forse dovrebbe ignorare i bisticci governativi e concentrarsi sull’Europa. Quella sul 25 aprile mi sembra diventata una polemica sterile, i fascisti si potevano combattere fino a quando c’erano, magari fino agli anni ’70 ma oggi dov’è il fascismo? I quattro matti che si mettono a srotolare un manifesto su Mussolini? Ma non scherziamo. Però io, su questo, ho un sospetto.

Quale?

Che per qualcuno fascismo voglia dire pensare diversamente. Ecco, se questo è fascismo c’è qualche problema sulla democrazia. Questa dovrebbe essere una festa nazionalpopolare, proprio com’era il Comitato di liberazione nazionale: una forza nazional popolare: non c’erano solo i comunisti ma anche gli azionisti, i monarchici, i democristiani, i socialisti, i liberali. Invece è diventata una festa divisiva perché utilizzata dagli antifascisti per criminalizzare chiunque la pensi diversamente. È l’utilizzo strumentale di questa festa ad essere sbagliata. Questo governo, invece che dividersi, avrebbe potuto dire: festeggiamo questo 25 aprile in quanto ricorrenza nazional popolare come questo governo. Anche questa è stata un’occasione persa. Entrambi i partiti di governo avrebbero potuto parlare di una liberazione nuova, da questa Unione Europea. La liberazione oggi per gli italiani non è la liberazione dal fascismo ma dai vincoli economici e finanziari posti dall’Unione Europea.

C’è chi vede in questi vincoli il terreno da cui è nato il sovranismo. Ieri il presidente della Repubblica ha detto che l’Ue non è minacciata dal sovranismo.

Il sovranismo rappresenta oggi una corrente politica che si oppone al globalismo. In Italia abbiamo una serie di partiti, come Lega e Fratelli d’Italia, che sono di impostazione sovranista. Viceversa abbiamo partiti legati al globalismo come il Pd. Mattarella è convinto di parlare di qualcosa che non esiste e invece esiste ed è rappresentato da due partiti.

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