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L’Italia, l’Europa e il “modello Cina”. Una visione dall’Asia

Di Raffaele Cazzola Hofmann e Mark Manantan

Prima e nel corso della visita di Xi Jinping in Italia per la firma del tanto dibattuto Memorandum of Understanding incentrato sulla “nuova Via della Seta”, il governo italiano ha sottolineato la necessità di recuperare il gap rispetto a Francia e Germania nell’ambito dell’interscambio commerciale tra Ue e Cina. In particolare, l’interscambio commerciale tedesco-cinese è doppio. Dalla Germania giungono il 5-6% delle importazioni cinesi: una super-performance da cui l’Italia (1%) è ben lontana.

Che il vasto mercato cinese e la classe media in crescita del Paese più popoloso del mondo siano una opportunità economico-commerciale per l’Italia è certo. Anche tenendo conto delle relazioni all’interno dell’Unione europea e con gli Stati Uniti, vi sono però dei riflessi politici da valutare nella creazione di un legame preferenziale con la Cina.

Pensiamo alla Francia, abile sul fronte sia economico che politico. Nell’incontro tra Macron e Xi Jinping, successivo al summit italiano, non è stato discusso né firmato alcun MoU sulla “nuova via della seta”. Eppure la Francia ha incassato la firma cinese su una serie di mega-accordi commerciali. L’accordo per la fornitura di aerei da parte di Airbus (30 miliardi di euro) supera il valore totale delle intese commerciali italo-cinesi sottoscritte a Roma a margine del MoU.

A livello politico lo stesso Macron si è fatto promotore insieme alla cancelliera tedesca Angela Markel di un vertice con Xi. C’era anche il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker. Il proverbiale asse franco-tedesco è stato quindi rispolverato per dare un segnale al resto dell’Unione europea poco tempo dopo la pubblicazione del nuovo “Eu-China Strategic Outlook” e, viene da immaginare, soprattutto all’Italia, protagonista di una “fuga in avanti” poco gradita ed effettuata a poche settimane dal previsto vertice annuale Ue-Cina del 9 aprile.

UNA RELAZIONE ESSENZIALE MA CON RISCHI CONCRETI 

La Cina sta modificando i tradizionali assetti delle relazioni internazionali. È evidente come la Ue e ognuno dei suoi Stati membri abbia l’interesse a creare una partnership strategica e conveniente con Pechino. Occorre però, nel caso dell’Italia, riflettere su alcuni elementi.

L’Italia è un Paese che, al di fuori del contesto europeo, non ha “assets” consolidati e pienamente riconoscibili da mettere sul piatto della bilancia dei rapporti con la sempre più assertiva Cina del nostro tempo. La Germania ha invece una sua propria forza economica e finanziaria che trascende i confini europei. La Francia è economicamente più simile all’Italia che alla Germania ma conta sul seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e condiziona le politiche di numerosi Paesi africani oggetto di interessi cinesi.

L’Italia ha un ruolo strategico nel Mediterraneo e un ruolo di primo piano in Libia, le cui risorse energetiche fanno gola ai cinesi; ma non è l’unica. La Francia e le “petrol-monarchie” della Penisola arabica sono altrettanto influenti.

La politica estera cinese sta divenendo sempre più spregiudicata e può coinvolgere l’Italia in spiacevoli equivoci, anche su dossier che riguardano direttamente i rapporti tra la potenza cinese e la potenza americana. Un primo caso è avvenuto già alla conclusione del summit per la firma del MoU. Nella versione cinese del comunicato congiunto è stato scritto che l’Italia ha dichiarato di aderire al “One China Principle”, ovvero in sostanza di considerare Taiwan – grande “protetta” degli Usa – come una “provincia ribelle” della Cina. In realtà l’Italia si è limitata a confermare la sua adesione alla “One China Policy” in base alla quale, come pressoché l’intera comunità internazionale, ha rapporti diplomatici con Pechino e rapporti solo informali con Taiwan.

Piaccia o meno l’Unione europea, è difficile pensare a un’Italia in grado di gestire – e non subire – il rapporto con la Cina al di fuori della cornice comunitaria. Allo stesso modo, piaccia o meno la politica di Trump, vanno valutate le possibili ripercussioni negative sul sempre fondamentale rapporto con gli Usa, apertamente irritati con il governo Conte. Tutti elementi, questi, che a nostro avviso andrebbero ben ponderati. Tanto più alla luce dei possibili obiettivi di carattere più generale nella strategia cinese di penetrazione politico-economica dell’Europa e tenendo conto di quanto la Cina sta già facendo in Asia.

Raffaele Cazzola Hofmann, Phd in Sociologia dello sviluppo e titolare della borsa di studio Taiwan Fellowship 2019 presso la Fu Jen Catholic Univesity di New Taipei 

Mark Manantan, research fellow presso il Center for Southeast Asian Studies di Taipei e titolare della borsa di studio Taiwan Fellowship 2019

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