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Libia, una riflessione sulla corsa solitaria dell’Italia

Lega

Che Paese vogliamo essere, nello scacchiere internazionale o almeno quello mediterraneo? Dobbiamo avere il coraggio di porci e rispondere, con spietata onestà intellettuale, a questa domanda, al di là dei luoghi comuni e delle dichiarazioni di facciata, che da sempre accompagnano la politica estera italiana. Quanto sta accadendo in Libia, il nostro essere diventati improvvisamente spettatori di uno show messo in piedi da altri, è preoccupante, ben oltre quanto si possa pensare leggendo gran parte dei commenti. L’ultima settimana, con l’offensiva, potremmo chiamarla serenamente guerra civile in Libia, scatenata dal generale Haftar, sarebbe di per sé inquietante. Diventa terrificante, se pensiamo che tutto sia accaduto cogliendoci completamente impreparati.

Addirittura, nostri ministri parlavano soddisfatti dei nuovi accordi pronti ad essere firmati con le autorità libiche, mentre le milizie dell’uomo forte di Bengasi erano già in movimento verso Tripoli. Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, particolarmente interessato alla crisi libica per le ovvie ricadute in tema di migranti, ha appreso il tutto nella sua stanza d’albergo a Parigi, dovendo gestire un inevitabile imbarazzo diplomatico.

Poche ore dopo, intervistato da Rtl 102.5, lo stesso Salvini si è lasciato andare a dichiarazioni pesantissime nei confronti della Francia e il suo presunto ruolo in Libia, in favore del generale Haftar. Dichiarazioni che Parigi ha lasciato cadere rumorosamente nel vuoto. Cosa di per sé incredibile, se si pensa che – come sottolineato da Salvini nella medesima intervista – la Francia ha ritirato l’ambasciatore a Roma “per molto meno”.

Come riflette un acuto e preparatissimo osservatore come Andrea Margelletti, presidente del Cesi, quasi che le esternazioni, anche le più severe, del nostro governo non siano semplicemente considerate. Brutalmente detto, non facciano paura a nessuno. E non è una bella considerazione. Le parole di Salvini, poi, ricompaiono improvvisamente nell’intervista del ministro della difesa Elisabetta Trenta, concessa al Corriere della Sera.

In quelle righe, la Trenta non usa mezzi termini, per accusare l’alleato di leggerezza in politica estera. Come si possa pensare di contare qualcosa, gestendo così la diplomazia ai più alti livelli, è un puro atto di fede. L’Italia gialloverde, a parole, è un continuo richiamo al proprio ruolo e alla propria forza nel mondo. Se però, davanti a una crisi che si svolge praticamente sull’uscio di casa, restiamo totalmente spiazzati e ci muoviamo in modo così scoordinato, la sensazione è che la realtà dei fatti sia drammaticamente diversa. Abbiamo toppato e abbiamo toppato in modo clamoroso. I nostri servizi di sicurezza, solitamente efficientissimi, non possono non aver visto o ‘sentito’… e allora qualcosa deve essere andato storto, se a Roma praticamente nulla si sapeva o nulla si è scelto di fare.

Ora, ci si affanna per recuperare il tempo perduto, ma rischia di essere una corsa solitaria, l’ennesima di questa fase storica in cui all’Italia non difettano certo le parole roboanti, ma drammaticamente gli alleati. Riflettiamoci.


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