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In Libia la propaganda è parte della battaglia per Tripoli

Fayez Serraj, Libia, trenta

Oggi è il giorno dei primi bilanci in Libia: l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha) dice che ci sono circa 16mila sfollati nelle aree attorno a Tripoli procurati dall’avanzata dell’autoproclamato Maresciallo di campo Khalifa Haftar, signore della guerra dell’Est che ha lanciato sul capitale un’offensiva per conquistare il controllo del paese contro il progetto Onu capitanato da Fayez Serraj. Oltre duemila sono le persone che hanno lasciato le proprie case solo nelle ultime 24 ore, dice l’Ocha.

Circa 120 i morti (di cui 28 bambini, secondo l’Ansa) prodotti finora dalla battaglie tra miliziani fedeli ad Haftar – alcuni mossi dalla Cirenaica, altri parte di gruppi franchising tripolitani – e le fazioni tripoline e misuratine che difendono Serraj. Attacchi e controffensive davanti ai quali la Comunità internazionale è in piena attività diplomatica per scongiurare un’escalation che potrebbe far precipitare il Paese nella guerra civile, nonché favorire spazi a posizioni estremiste – come quelle dello Stato islamico, ancora attivo, sebbene in forma nascosta, nel Paese.

In mezzo, come in ogni situazione del genere, molta propaganda che coinvolge non solo le forze sul campo, ma anche quelli che sono considerati gli attori esterni a sostegno dei due blocchi – dal lato di Serraj, l’intera Comunità internazionale, dato che il proto-governo insediato a Tripoli è appoggiato dalle Nazioni Unite; dall’altro Egitto, Emirati Arabi, Arabia Saudita, e in modo più sfumato la Russia e non ufficialmente la Francia.

Il principale portavoce di Haftar, Ahmed al Mismari, megafono della propaganda di Bengasi (roccaforte cirenaica haftariana), ha detto di aver avuto notizie di un carico di armi in arrivo dalla Turchia per dare aiuto ai miliziani pro-Serraj. Le milizie tripoline hanno collegamenti con Turchia e Qatar, considerati i principali protagonisti esterni di questo scontro intralibico su cui si proiettano anche divisioni mediorientali (Ankara e Doha sono in cagnesco con Riad e Abu Dhabi, spaccatura che ha ragioni culturali, politiche e geopolitiche all’interno del mondo sunnita).

Una fonte libica ci dice che la credibilità di Mismari è praticamente “zero”, però è la voce di Haftar, “quindi comunque interessante”. Ossia, quando parla Mismari detta la linea che il generale della Cirenaica usa per difendere la sua politica: ora Haftar sta cercando di rappresentare la sua azione come una campagna contro gli estremisti – non a caso, tra le varie informazioni che circolano ci sono quella secondo cui siano corsi in soccorso di Serraj gruppi considerati sotto sanzioni dall’Onu per via delle visioni radicali (per esempio Ansar al Sharia) e riconducibili al circolo più aggressivo della Fratellanza musulmana vicina a Turchia e Qatar.

L’obiettivo di liberare la Libia dagli estremisti è stato usato da Haftr fin dal 2014, anno d’inizio delle sue attività militari, ma era chiaro fin da subito che il generale freelance avesse ambizioni politiche più ampie; non ha mai avuto la forza necessaria per conquistare il paese, ma ha sempre sperato – e continua a farlo con l’attacco a Tripoli – che, sostenuto anche dalla narrazione anti-estremisti, possa ottenere una leva negoziale migliore con cui trovare più spazi nel futuro del Paese.

Negli ultimi giorni il corrispondente del New York Times dal Cairo – cuore reale del sostegno ad Haftar, dove in queste ore il generalissimo è stato in visita per incontrare il capo di stato Abdel Fattah al Sisi – ha scritto due articoli sull’argomento “Haftar-contro-estremisti“, segno che dalla capitale egiziani lo spin con cui si vuol dipingere la missioni di Haftar ai giornalisti è esattamente questo. Oggi il presidente egiziano ha detto: “Il sostegno dell’Egitto agli sforzi della lotta contro il terrorismo e le milizie estremiste per realizzare la sicurezza e la stabilità della Libia”.

Mismari ha rincarato la dose uscendo dal terreno prettamente libico, e dice anche che gli attacchi aerei con cui Misurata ha respinto parte dell’avanzata degli uomini di Haftar – riducendo le ambizioni che avevano spinto il generale a promettere ai suoi uomini una vittoria rapida, in due giorni, mentre è da dieci che la sua campagna è in stallo – sono stati condotti da piloti-contractor privati americani e italiani. Circostanza che gli osservatori considerano altamente improbabile.

Ma le due nazioni non sono state scelte a caso dalla disinformazione haftariana: Roma e Washington sono in continuo contatto e stanno pressando fortemente Haftar per evitare escalation. E non solo: sia gli italiani che gli americani hanno forze speciali acquartierate nelle città-stato che fa da principale linea difensiva di Serraj, nemica esistenziale per Haftar.

La propaganda tuttavia non manca nemmeno da Tripoli. Secondo diverse fonti tripoline, molto loquaci con i media internazionali, al fianco di alcuni improbabili miliziani raccolti da Haftar per marciare contro Serraj promettendo facili successi (nonostante la scarsa preparazione), ci sarebbero contractor egiziani. Sarebbero stati portati al fronte da mezzi della cosiddetta Lna, la Libyan national army (nome ambizioso con cui Haftar chiama la sua milizia ombrello).

Di più: secondo i combattenti pro-Serraj con loro ci sarebbero stati anche alcuni operativi delle forze speciali francesi – poche unità, sei, non di più – che avrebbero fatto da consiglieri nell’area caldissima di Gharian, snodo tattico alle porte di Tripoli.

Da molto tempo si sa che i francesi hanno avuto contatti con Haftar, anche sul campo, ma Parigi – davanti anche alle pressioni italiane, che chiedevano trasparenza – ha sempre detto di non essere coinvolta nella missione lanciata dalla Cirenaica su Tripoli. In questi giorni le strade della capitale (e di Misurata) sono state riempite da folle di manifestanti che hanno anche cantato cori contro la Francia: sabato, alcune persone (adulti e bambini) si sono presentate in strada a Tripoli con i gilet gialli, simbolo delle protesti francesi contro l’Eliseo.

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