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I nemici di Marino non meritano l’onore delle armi

marino

Cosa ci resta della vicenda Marino? È bene chiederselo, è bene non limitarsi ad una generica e un po’ pelosa solidarietà, comunque tardiva, all’ex sindaco di Roma.

Che quella vicenda, cancellata dalla sentenza della Cassazione, fosse andata ben oltre la sua ipotetica portata, lo avevano capito tutti. Molto prima del ribaltamento, in sede di terzo grado di giudizio. I presunti scontrini gonfiati, una certa e ancora più presunta allegria gestionale, non erano stati null’altro che il comodo cavallo di Troia, per ottenere un ben preciso obiettivo politico: defenestrare un uomo considerato ormai politicamente impresentabile, forzando buon senso e regolamenti, come mai si era visto prima di allora.

Una responsabilità politica che ha nomi e cognomi ben noti, quelli di Renzi e Orfini, ma più in generale di un intero Partito democratico. Scelsero tutti di non difendere un loro rappresentante e non certo uno qualsiasi, ma il primo cittadino della capitale d’Italia. Un incredibile suicidio politico, che spianò la strada al trionfo elettorale del Movimento Cinque Stelle e di Virginia Raggi, al punto che esponenti dello stesso Movimento – oggi in disgrazia – si spinsero a dire che quelle elezioni le avrebbe vinte anche il Gabibbo… Una mossa cinica e impossibile da giustificare, ma comprensibilissima.

La verità, infatti, è che per la politica italiana l’uso e abuso dell’arma giudiziaria appare irrinunciabile, al massimo poco nobile, ma comunque sempre giustificabile. Nessuno riesce a resistere alla tentazione, per liberarsi di nemici o, come in questo caso, presunti amici. Fra il notaio di Renzi e le arance della Raggi non ci vedo grandi differenze: è il venir meno di una delle più sacre garanzie costituzionali: la presunzione di innocenza. Sempre e solo valida per i propri amici o , come insegna il caso Marino, nemmeno sempre per quelli.

È giusto che ieri l’ex sindaco non abbia nascosto la profondità della ferita, che non abbia scelto la strada delle parole inutilmente nobili. Ignazio Marino non può e non deve regalare agli eserciti dei suoi nemici l’onore delle armi. Perché non lo meritano.

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